Sentir dire dal sindaco che è pronto a collaborare con Punto Giovani sul problema droga come se si dovesse iniziare un nuovo percorso sinceramente mi atterrisce.
Non ho nessuno spirito polemico, ma non posso fare a meno di sottolineare che dall'insediamento dell'amministrazione Salvi (aprile 2010) l'azione sulle politiche giovanili è stata praticamente assente.
Mi si dirà che il Punto Giovani è stato finanziato, ma questo non è sufficiente.
Sono stato presidente dell'Associazione dal 1997 al 2005 quando sono diventato assessore ai servizi sociali fino al 2010.
In quel quinquennio ho investito gran parte delle energie e delle risorse per una azione continua e strutturata di coinvolgimento dei giovani volto a prevenire alla radice il fenomeno delle dipendenze.
Mi limito a citare tre iniziative che la nuova giunta ha semplicemente ignorato, nonostante ripetuti richiami.
Mi riferisco alla consulta delle politiche giovanili, ai forum sociali che hanno portato a Guardiagrele attori importanti anche sul fronte della lotta alle dipendenze (basta ricordare don Luigi Ciotti) e la convenzione con il CSV e l'associazione di genitori "Il faggio" di Chieti.
Con questi soggetti c'era un confronto assiduo e riscontravamo risultati positivi anche nel campo della prevenzione, valutabile in termini di risposta delle scuole e delle famiglie.
La mia riflessione è molto semplice: se questi progetti fossero stati coltivati, magari arricchiti di nuovi contenuti, oggi non dovremmo parlare come se tutto dovesse iniziare da zero.
Condivido, quindi, l'appello di Carabella, presidente di Punto Giovani subentrato a me otto anni fa, quando invoca un sostegno da parte di tutte le istituzioni perchè è chiaro che ogni attore, ogni associazione deve avere nell'amministrazione comunale un interlocutore che collabori con continuità e convinzione e non estemporaneamente o agendo sull'emergenza.
Insomma, io non dico che a Guardiagrele i giovani (e forse non solo loro) si fanno per colpa dell'amministrazione, ma dico con assoluta convinzione che è stato buttato all'aria un patrimonio di relazioni faticosamente costruito che era il presupposto per una efficace rete di protezione.
La cosa che sconcerta è che su questo fronte non vi è stata la benchè minima iniziativa e nessuno ha mai spiegato perchè quello che era stato costruito non andava bene.
giovedì 5 settembre 2013
venerdì 5 luglio 2013
La Corte sul decreto "salva-Chiodi" non ha detto l'ultima parola
Con ordinanza n. 173/2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa dal TAR Abruzzo in merito all'articolo 117, comma 4, lettera c) del decreto legge 98/2011.
Si tratta della norma "salva Chiodi" che, nel luglio 2011 stabilì l'approvazione per via legislativa del programma operativo 2010 che aveva stabilito la chiusura dei piccoli ospedali e che era stata appena annullata dal TAR.
Va subito detto che nè il Commissario nè la Regione Abruzzo possono cantare vittorria poichè la decisione della Corte Costituzionale non sancisce la legittimità di quella norma, ma dice, sostanzialmente, che non può decidere sull'illegittimità costituzionale per due fondamantali motivi.
In primo luogo perchè è pendente un giudizio di appello davanti al Consiglio di Stato cui compete una "preliminare verifica in ordine ai vizi riscontrati in primo grado". La Corte, in definitiva, sostiene che al Consiglio di Stato compete di stabilire se il Programma Operativo è legittimo oppure no con la conseguenza che chi pensa che la Consulta gli abbia dato il via libera commette un grave errore di valutazione tecnica. Insomma, non è vero che il decreto salva Chiodi ha salvato il Commissario perchè l'interpretazione dei suoi atti è ancora rimessa al giudice di appello. Anzi, la Corte dice pure che questa valutazione può essere fatta dallo stesso TAR che, interpretando la norma, ben può dire - ed è questo, a mio avviso, il messaggio fondamentale della Corte - che il decreto legge 98/2011 ha sì approvato il Programma Operativo, ma ne ha approvato il contenuto che ne viene fuori anche a seguito dei giudizi amministrativi. Detto in altri termini, è vero che il decreto legge 98/2011 approva il programma operativo e a questo fa rinvio, ma il contenuto del programma operativo non è necessariamente quello originario, ma può essere quello che deriva da pronunce giurisdizianali che ben possono modificarlo.
E veniamo al secondo motivo di inammissibilità. La Corte, facendo proprie le osservazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dà atto di "sopravvenienze normative" (il decreto legge 95/2012, la c.d. spending review, e il decreto legge 158, il c.d. decreto Balduzzi) che possono avere una incidenza sulla situazione generale che potrà essere valutata sia dal Consiglio di Stato in sede di appello proposso dal Commissario sia davanti al TAR nei giudizi di ottemperanza promossi per gli ospedali già chiusi e, quindi, non per quello di Guardiagrele. Su questo punto, però, è il caso di sottolineare che, come abbiamo detto più volte, il decreto sulla spending review ha già avuto piena attuazione ben prima che venisse approvato per il fatto che il programma operativo 2010 tagliò più posti letto di quelli previsti dal decreto 95.
E' probabile che la Regione e il Commissario si attendessero una vittoria su tutta la linea e, cioè, che la Corte dicesse che il decreto 98 è perfettamente conforme alla Costituzione, ma così non è.
La Consulta, come detto, ha ritenuto che, al momento (e, cioè, nell'ambito dle giudizio di ottemperanza promosso dal comune di Tagliacozzo), "la questione di legittimità costituzionale, nei termini entro i quali è stata sollevata e proposta, rinviene il suo indefettibile presupposto logico-giuridico nella definitività dell'accertamento della illegittimità degli atti del Commissario ad acta che, nella specie, è ancora controversa, poichè è ancora pendente il giudizio di impugnazione".
Insomma, la Corte ha detto che ci sono giudici che possono ancora dirci che il programma operativo è illegittimo e in questa decisione nessun valore avrà il fatto che il decreto legge 98/2011 lo ha approvato.
Se il Commissario e i Direttori Generali, quindi, pensano di poter andare avanti nelle loro decisioni di chiuura e riduzione dei servizi, commettono un grave errore di valutazione poichè la partita non è ancora chiusa.
Nell'ordinanza, poi, si dà atto di alcune interessanti osservazioni della Presidenza del Consiglio che sostiene che nessuna intromissione vi sarebbe stata nei poteri degli organi regionali "in quanto la Regione avrebbe potuto riappropriarsi dei poteri di riprogrammazione del piano di rientro e porre fine al commissariamento" e per il fatto che il programma operativo è stato approvato in considerazione della necessità di riorganizzare la rete ospedaliera "nell'inerzia della Regione". Insomma, un macigno sulla coscienza del consiglio regionale che non solo è stato espropriato, ma che, pur potendo riprendersi i poteri di programmazione con un nuovo piano che avrebbe fatto anche cessare il commissariamento, è rimasto inerte.
Chiodi qualche giorno fa ci ha pure detto che le sue manovre non sono state dettate da motivazioni ragionieristiche; oggi la Corte Costituaionale ci dice che la Regione, pur potendo decidere, ha preferito delegare tutto al Commissario con le conseguenze in termini assistenziali che sono sotto gli occhi di tutti. Due circostanze, queste, che ci fanno ritenere ancor più gravi le colpe di una classe dirigente che ha deciso di non decidere e che non ha mai risposto quando anche noi abbiamo denunciato che il commissariamento doveva cessare e che la regione dovera riprendere in mano tutti i suoi poteri.
La nostra battaglia in difesa della sanità pubblica e dei piccoli presidi, quindi, ne esce ancor più rafforzata. La Corte non ha detto che quella norma è illegittima e neanche ha detto che il programma operativo è giusto. Ha detto che i giudici dovranno stabilirlo e noi, si sappia, non ci fermeremo, se necessario, neanche davanti al Consiglio di Stato perchè, se ci sarà richiesto dalle circostanze, non esiteremo a percorrere le altre strade che la legge ci consente.
Da questa puntata della lunga vicenda traiamo anche il convincimento che la gente deve essere informata e deve partecipare. Per parte nostra stamattina saremo davanti al piazzale dell'ospedale di Guardiagrele per continuare raccogliere adesioni alla nostra iniziativa legale che, oggi, ha bisogno di un sostegno ancor più forte. Allo stesso tempo diffidiamo chi deve decidere dall'adottare provvedimenti che vanno nella direzione di ulteriori chiusure e tagli perchè non è stata ancora detta l'ultima parola.
In termini concreti, è chiaro che i giudizi promossi da chi chiede la riapertura degli ospedali chiusi ben possono proseguire e tendere al loro obiettivo; quantoall'ospedale di Guardiagrele, certyamente non ci accontenteremo della stasi che la vicenda vive perchè se è vero, come è vero, che l'ospedale è aperto, esso deve essere messo in condizioni di funzionare con le dotazioni, anche di personale, necessarie.
Si tratta della norma "salva Chiodi" che, nel luglio 2011 stabilì l'approvazione per via legislativa del programma operativo 2010 che aveva stabilito la chiusura dei piccoli ospedali e che era stata appena annullata dal TAR.
Va subito detto che nè il Commissario nè la Regione Abruzzo possono cantare vittorria poichè la decisione della Corte Costituzionale non sancisce la legittimità di quella norma, ma dice, sostanzialmente, che non può decidere sull'illegittimità costituzionale per due fondamantali motivi.
In primo luogo perchè è pendente un giudizio di appello davanti al Consiglio di Stato cui compete una "preliminare verifica in ordine ai vizi riscontrati in primo grado". La Corte, in definitiva, sostiene che al Consiglio di Stato compete di stabilire se il Programma Operativo è legittimo oppure no con la conseguenza che chi pensa che la Consulta gli abbia dato il via libera commette un grave errore di valutazione tecnica. Insomma, non è vero che il decreto salva Chiodi ha salvato il Commissario perchè l'interpretazione dei suoi atti è ancora rimessa al giudice di appello. Anzi, la Corte dice pure che questa valutazione può essere fatta dallo stesso TAR che, interpretando la norma, ben può dire - ed è questo, a mio avviso, il messaggio fondamentale della Corte - che il decreto legge 98/2011 ha sì approvato il Programma Operativo, ma ne ha approvato il contenuto che ne viene fuori anche a seguito dei giudizi amministrativi. Detto in altri termini, è vero che il decreto legge 98/2011 approva il programma operativo e a questo fa rinvio, ma il contenuto del programma operativo non è necessariamente quello originario, ma può essere quello che deriva da pronunce giurisdizianali che ben possono modificarlo.
E veniamo al secondo motivo di inammissibilità. La Corte, facendo proprie le osservazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dà atto di "sopravvenienze normative" (il decreto legge 95/2012, la c.d. spending review, e il decreto legge 158, il c.d. decreto Balduzzi) che possono avere una incidenza sulla situazione generale che potrà essere valutata sia dal Consiglio di Stato in sede di appello proposso dal Commissario sia davanti al TAR nei giudizi di ottemperanza promossi per gli ospedali già chiusi e, quindi, non per quello di Guardiagrele. Su questo punto, però, è il caso di sottolineare che, come abbiamo detto più volte, il decreto sulla spending review ha già avuto piena attuazione ben prima che venisse approvato per il fatto che il programma operativo 2010 tagliò più posti letto di quelli previsti dal decreto 95.
E' probabile che la Regione e il Commissario si attendessero una vittoria su tutta la linea e, cioè, che la Corte dicesse che il decreto 98 è perfettamente conforme alla Costituzione, ma così non è.
La Consulta, come detto, ha ritenuto che, al momento (e, cioè, nell'ambito dle giudizio di ottemperanza promosso dal comune di Tagliacozzo), "la questione di legittimità costituzionale, nei termini entro i quali è stata sollevata e proposta, rinviene il suo indefettibile presupposto logico-giuridico nella definitività dell'accertamento della illegittimità degli atti del Commissario ad acta che, nella specie, è ancora controversa, poichè è ancora pendente il giudizio di impugnazione".
Insomma, la Corte ha detto che ci sono giudici che possono ancora dirci che il programma operativo è illegittimo e in questa decisione nessun valore avrà il fatto che il decreto legge 98/2011 lo ha approvato.
Se il Commissario e i Direttori Generali, quindi, pensano di poter andare avanti nelle loro decisioni di chiuura e riduzione dei servizi, commettono un grave errore di valutazione poichè la partita non è ancora chiusa.
Nell'ordinanza, poi, si dà atto di alcune interessanti osservazioni della Presidenza del Consiglio che sostiene che nessuna intromissione vi sarebbe stata nei poteri degli organi regionali "in quanto la Regione avrebbe potuto riappropriarsi dei poteri di riprogrammazione del piano di rientro e porre fine al commissariamento" e per il fatto che il programma operativo è stato approvato in considerazione della necessità di riorganizzare la rete ospedaliera "nell'inerzia della Regione". Insomma, un macigno sulla coscienza del consiglio regionale che non solo è stato espropriato, ma che, pur potendo riprendersi i poteri di programmazione con un nuovo piano che avrebbe fatto anche cessare il commissariamento, è rimasto inerte.
Chiodi qualche giorno fa ci ha pure detto che le sue manovre non sono state dettate da motivazioni ragionieristiche; oggi la Corte Costituaionale ci dice che la Regione, pur potendo decidere, ha preferito delegare tutto al Commissario con le conseguenze in termini assistenziali che sono sotto gli occhi di tutti. Due circostanze, queste, che ci fanno ritenere ancor più gravi le colpe di una classe dirigente che ha deciso di non decidere e che non ha mai risposto quando anche noi abbiamo denunciato che il commissariamento doveva cessare e che la regione dovera riprendere in mano tutti i suoi poteri.
La nostra battaglia in difesa della sanità pubblica e dei piccoli presidi, quindi, ne esce ancor più rafforzata. La Corte non ha detto che quella norma è illegittima e neanche ha detto che il programma operativo è giusto. Ha detto che i giudici dovranno stabilirlo e noi, si sappia, non ci fermeremo, se necessario, neanche davanti al Consiglio di Stato perchè, se ci sarà richiesto dalle circostanze, non esiteremo a percorrere le altre strade che la legge ci consente.
Da questa puntata della lunga vicenda traiamo anche il convincimento che la gente deve essere informata e deve partecipare. Per parte nostra stamattina saremo davanti al piazzale dell'ospedale di Guardiagrele per continuare raccogliere adesioni alla nostra iniziativa legale che, oggi, ha bisogno di un sostegno ancor più forte. Allo stesso tempo diffidiamo chi deve decidere dall'adottare provvedimenti che vanno nella direzione di ulteriori chiusure e tagli perchè non è stata ancora detta l'ultima parola.
In termini concreti, è chiaro che i giudizi promossi da chi chiede la riapertura degli ospedali chiusi ben possono proseguire e tendere al loro obiettivo; quantoall'ospedale di Guardiagrele, certyamente non ci accontenteremo della stasi che la vicenda vive perchè se è vero, come è vero, che l'ospedale è aperto, esso deve essere messo in condizioni di funzionare con le dotazioni, anche di personale, necessarie.
sabato 23 marzo 2013
Servizi sociali: Guardiagrele capofila. L'avevamo detto 3 anni fa!
Lunedì 25 marzo 2013 il Consiglio Comunale è chiamato ad approvare la delibera con la quale il comune di Guardiagrele diventa, di fatto, Ente d'Ambito Sociale, ente capofila dei comuni ancora appartenenti alla Comunità Montanaper la gestione dei servizi sicoali.
E' un fatto importante ed è motivo di grande soddisfazione. E' chiaro che ora si pongono problemi di carattere organizzativo perchè va consentito alla struttura di fare fronte anche a questooneroso impegno, ma si risolveranno; si dovranno risolvere.
Il riconoscimento di questo ruolo era chiaramente cotenuto nel programma elettorale della lista "Guardiagrele il bene in comune" (nell'immagine c'è uno stralcio) e ne ho fatto oggetto di due interrogazioni nel 2010 e nel 2011, senza avere mai risposta.
Guardare tre anni fa a questo traguardo (come il nostro gruppo ha fatto) era segno di una visione del futuro di una comunità che va oltre la ridotta prospettiva di qualche mese.
Ci avevamo visto giusto e qualcuno dovrà riconoscercelo.
Se l'amministrazione non lo farà, lo dico io, senza alcuna polemica, ma rinnovando la disponibilità a dare il nostro contributo.
E' un fatto importante ed è motivo di grande soddisfazione. E' chiaro che ora si pongono problemi di carattere organizzativo perchè va consentito alla struttura di fare fronte anche a questooneroso impegno, ma si risolveranno; si dovranno risolvere.
Il riconoscimento di questo ruolo era chiaramente cotenuto nel programma elettorale della lista "Guardiagrele il bene in comune" (nell'immagine c'è uno stralcio) e ne ho fatto oggetto di due interrogazioni nel 2010 e nel 2011, senza avere mai risposta.
Guardare tre anni fa a questo traguardo (come il nostro gruppo ha fatto) era segno di una visione del futuro di una comunità che va oltre la ridotta prospettiva di qualche mese.
Ci avevamo visto giusto e qualcuno dovrà riconoscercelo.
Se l'amministrazione non lo farà, lo dico io, senza alcuna polemica, ma rinnovando la disponibilità a dare il nostro contributo.
domenica 3 febbraio 2013
Zio Piero e papà: il mio Pantheon del centrosinistra
Volontario della libertà e veterano garibaldino, durante i venti mesi di lotta partigiana condivideva con i giovani i rischi, le fatiche ed i pericoli della nuova epopea che ha portato all’abbattimento della tirannide e alla cacciata dell’oppressore. Fedele al suo credo di uomo libero che ha lottato e sofferto per l’ideale della libertà, organizzava i primi gruppi partigiani operanti in montagna ed in pianura e partecipava con essi ad audaci gesta gravemente scossero l’efficienza bellica del nemico. Benché perseguitato dalla polizia che temeva in lui l’indomito cospiratore, alimentava, sprezzante di ogni rischio, materialmente e spiritualmente i compagni che lottavano, mantenendo viva in essi, la stessa fiamma che ha fatto di lui l’apostolo perseguitato e benefico di ogni idea di “umana fraternità”, in Treviso, settembre 1943 – aprile 1945.
Questa è la motivazione della medaglia d’argento al valor militare che venne conferita, con Decreto del Presidente della Repubblica del 9 aprile 1949, a Pietro Dal Pozzo, allora deputato, per i meriti conseguiti in occasione della “guerra di liberazione”.
Pietro Dal Pozzo era lo zio di mio padre (fratello di Nonno Fermo) e papà ne parlava con orgoglio. Zio Piero (così lo chiamavamo) aveva come moglie una donna eccezionale: Dina (corsi e ricorsi storici!) Sernaglia, anche lei protagonista della resistenza di cui pure vorrei parlarvi.
Quel che mi interessa sottolineare è che queste sono le mie radici, ma soprattutto sono le radici della nostra democrazia.
Mi sono tornati in mente in questi giorni che ci separano da elezioni decisive e non mi sembra affatto di strumentalizzare la loro memoria. Del resto se ognuno può parlare dei suoi pantheon (ricordate, prima delle primarie PD, quando si aprì la discussione sul pantheon del centrosinistra?), io vi dico chi, secondo me, ci farebbe davvero una bella figura.
Ebbene, nel pantheon del centrosinistra, oltre a mio padre (che nel 1973, abbandonando una DC che lo aveva deluso, mise in piedi la prima vera giunta di centrosinistra a Guardiagrele), io ci metto un eroe della resistenza che era suo (e mio) zio.
E a questo punto mi chiedo, se zio Piero ha lottato in quel modo (perché la sua è stata una vita a dire poco complicata), perché io devo disperdere quel patrimonio?
Se tanti come lui hanno dato letteralmente la vita per quell’idea, come posso io permettermi di mandare all’aria quel sacrificio.
Se devo tradurre in una scelta per l’oggi quell’impegno, io credo che l’unica possibile, utile, per il cambiamento, è per il “mio” Partito Democratico.
L’idea del PD è quella in cui credo. Il progetto del PD è quello che desidero. Le scelte del PD sono quelle che condivido, anche per il mio futuro.
Chi si candida per il PD ha, poi, questa enorme responsabilità: quella di difendere e non tradire (con le parole e soprattutto con i fatti) gli ideali per i quali zio Piero si è speso, nei quali mio padre ha creduto e per i quali anche io oggi, con molti amici, mi batto.
Tutto questo io sono e voglio continuare ad essere…
Questa è la motivazione della medaglia d’argento al valor militare che venne conferita, con Decreto del Presidente della Repubblica del 9 aprile 1949, a Pietro Dal Pozzo, allora deputato, per i meriti conseguiti in occasione della “guerra di liberazione”.
Pietro Dal Pozzo era lo zio di mio padre (fratello di Nonno Fermo) e papà ne parlava con orgoglio. Zio Piero (così lo chiamavamo) aveva come moglie una donna eccezionale: Dina (corsi e ricorsi storici!) Sernaglia, anche lei protagonista della resistenza di cui pure vorrei parlarvi.
Quel che mi interessa sottolineare è che queste sono le mie radici, ma soprattutto sono le radici della nostra democrazia.
Mi sono tornati in mente in questi giorni che ci separano da elezioni decisive e non mi sembra affatto di strumentalizzare la loro memoria. Del resto se ognuno può parlare dei suoi pantheon (ricordate, prima delle primarie PD, quando si aprì la discussione sul pantheon del centrosinistra?), io vi dico chi, secondo me, ci farebbe davvero una bella figura.
Ebbene, nel pantheon del centrosinistra, oltre a mio padre (che nel 1973, abbandonando una DC che lo aveva deluso, mise in piedi la prima vera giunta di centrosinistra a Guardiagrele), io ci metto un eroe della resistenza che era suo (e mio) zio.
E a questo punto mi chiedo, se zio Piero ha lottato in quel modo (perché la sua è stata una vita a dire poco complicata), perché io devo disperdere quel patrimonio?
Se tanti come lui hanno dato letteralmente la vita per quell’idea, come posso io permettermi di mandare all’aria quel sacrificio.
Se devo tradurre in una scelta per l’oggi quell’impegno, io credo che l’unica possibile, utile, per il cambiamento, è per il “mio” Partito Democratico.
L’idea del PD è quella in cui credo. Il progetto del PD è quello che desidero. Le scelte del PD sono quelle che condivido, anche per il mio futuro.
Chi si candida per il PD ha, poi, questa enorme responsabilità: quella di difendere e non tradire (con le parole e soprattutto con i fatti) gli ideali per i quali zio Piero si è speso, nei quali mio padre ha creduto e per i quali anche io oggi, con molti amici, mi batto.
Tutto questo io sono e voglio continuare ad essere…
domenica 27 gennaio 2013
Biomasse: non si può fare!
Queste sono le conclusioni dello studio della Bioacademy trasmesso al comune di Guardiagrele il 1° marzo 2012 (prot. 4213).
Cosa può essere cambiato rispetto a un anno fa?
Cosa può essere cambiato rispetto a un anno fa?
venerdì 7 settembre 2012
martedì 24 luglio 2012
lunedì 2 luglio 2012
Appello all'università
Prima della decisione che la Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato dovranno pronunciare (chissà quando!) sul futuro del piano Chiodi-Baraldi, sarà difficile che la ASL possa adottare decisioni definitive nel senso della chiusura del SS. Immacolata. Ci pagherebbe il disastro sociale creato dalla chiusura di un ospedale che doveva restare aperto? Chi potrebbe onorare gli obblighi derivanti da responsabilità economiche o contabili di siffatte decisioni?
Dopo l'esito nel merito dell'ultimo ricorso (che non è stato rigettato, ma semplicemente sospeso con la sentenza depositata venerdì scorso), è opportuno che, per superare l'incertezza, si riprenda in mano la programmazione del 2008 che aveva dato un futuro e una missione ai tre presidi della ex ASL di Chieti.
Questa partita non è affatto di retroguardia come insegna, ad esempio, il Piano Sanitario del Piemonte, regione in Piano di Rientro che ha previsto nella sua programmazione approvata appena due mesi fa la possibilità di istituire ospedali distribuiti su più presidi come doveva essere per il sistema Chieti-Guardiagrele-Ortona.
Noi insistiamo con forza e chiamiamo in causa l'Università in questa fondamentale sfida che, anche da un punto di vista scientifico, può essere un interessante terreno di confronto per il mondo accademico.
Il Piano Sanitario del 2008 prevedeva l'aziendalizzazione del SS. Annunziata in una logica di integrazione dei tre nosocomi. La legge sul terremoto prima e la creazione della ASL provinciale poi hanno bloccato questo disegno. Sono decisioni che abbiamo denunciato nei nostri atti legali.
Il fallimento della programmazione di Chiodi, però, deve imporre una riflessione sul futuro in modo da uscire da questo stallo con una prospettiva che valorizzi e qualifichi l'esistente motivando gli operatori oggi lasciati allo sbando.
Tornando al rapporto con l'Università, nel fare gli auguri al nuovo rettore, il prof. Carmine di Ilio, preside di Medicina, con il quale lo scorso anno abbiamo avuto modo di approfondire questo argomento, è necessario che si comprenda che la formazione di una nuova classe medica di qualità può andare di pari passo con la promozione di un servizio sanitario che risponda alle effettive esigenze dei pazienti.
Mi domando se all'Università convenga fare ricerca e formazione all'interno di un presidio, quello di Chieti, che ormai squalifica la stessa dignità del paziente e impedisce,per le note condizioni di affollamento e degrado, di fare l'eccellenza cui il policlinico doveva essere vocato, o, piuttosto, all'interno di una moderna struttura come quella di Guardiagrele con la quale è possibile portare avanti un lavoro proficuo.
Se questo è stato possibile per la clinica psichiatria è altrettanto possibile per la geriatria universitaria, che trova spazio nella struttura di Guardiagrele, e può esserlo per tutti gli altri settori, anche dela diagnostica (laboratorio analisi e radiodiagnostica).
In questa fase che inibisce qualsiasi iniziativa che vada nella direzione della chiusura, quando ormai in tanti devono prendere atto del fallimento della politica di Chiodi, quando mancano ancora fondamentali snodi del servizio sanitario e quando sembra ormai chiaro che il futuro è nella integrazione dei presidi ospedalieri vicini, anche nella logica della differenziazione dell'intensità di cura, tutti gli attori sono chiamati a svolgere il proprio ruolo cercando di individuare anche nelle strutture "minori" occasioni di ricerca, sperimentazione, formazione che per varie ragioni possono dare ottimi risultati o, addirittura, profitto.
Ecco perchè l'Università va chiamata in causa e noi lo facciamo memori del contributo che professionisti della qualità di Filippo Maria Ferro (al quale abbiamo conferito la cittadinanza onoraria) possono dare alla sanità e alla scienza servendosi di strutture che possono dare molto.
Se Guardiagrele non ha avuto il futuro che tutti speravano spesso è stato perchè in passato si è considerata questa sede squalificante, ma noi oggi sappiamo che ciò che squalifica non è la sede nella quale si opera, ma le condizioni alle quali si è costretti a lavorare e simao certi che professionisti e servizi di qualità in tanto possono esistere in quanto hanno modo di nascere e svilupparsi in contesti come il nostro.
Ecco perchè proprio nei piccoli ospedali è possibile fare la sanità di qualità che il cittadino esige come diritto fondamentale.
Se la politica percepisse e spingesse verso questo obiettivo, è probabile che il modo di concepire la sanità anderebbe incontro a meno fallimenti.
lunedì 25 giugno 2012
lunedì 4 giugno 2012
Piccoli ospedali: un caso nazionale
Il Corriere della Sera di oggi ha dedicato un pezzo in Primo Piano (pagina 5) al tema dei piccoli ospedali.
Negli ultimi giorni ho avuto modo di confrontarmi più volte con la giornalista alla quale avevo segnalato, qualche settimana fa, che nessuno era andato alla radice del problema dei disservizi in sanità (era il periodo in cui la cronaca si concentrava sui Pronti Soccorso di Roma).
Sostenevo e sostengo che se i grandi ospedali sono ingolfati e non riescono a fare eccellenza è perchè si taglia indiscriminatamente e questi tagli hanno coinvolto i piccoli ospedali.
Ecco perchè, oltre che per altre ragioni giuridiche (le spiego dopo), i giudici amministrativi hanno bocciato le scelte dei commissari nelle varie regioni in piano di rientro.
Cinque sono le regioni nelle quali il Governo ha nominato i presidenti quali commissari per l’attuazione del piano di rientro dal debito sanitario (Abruzzo, Molise, Lazio, Campania e Calabria).
Nel corso degli anni 2010 e 2011 i Commissari hanno adottato i c.d. “Programmi Operativi” con i quali, secondo le previsioni della l. 191/2009, avrebbero dovuto garantire la prosecuzione dei Piani di rientro (firmati tra regioni e ministeri nell’anno 2007).
Con questi Programmi, però, i Commissari hanno drasticamente tagliato i posti letto e, quindi, hanno disposto la chiusura di numerosi ospedali, dai 24 della regione Lazio ai 5 della Regione Abruzzo. La necessità di tagli ai posti letto (pure “giustificata” dal patto per la salute siglato nel dicembre 2008) si è scontrata con la assoluta carenza di misure alternative o complementari. Ne sono derivate una pesante riduzione dell’assistenza sanitaria e un ingolfamento delle strutture rimaste aperte.
Va detto, però, che non tutti si sono adeguati alle decisioni dei Commissari. Infatti, Comitati e Amministrazioni comunali hanno impugnato questi atti sollevando numerose questioni che vanno ben al di là della pur legittima pretesa di difendere il diritto alla salute e all’assistenza delle comunità rappresentate, spesso coincidenti con le zone più interne delle regioni interessate e, quindi, messe gravemente in crisi dalle riduzioni dei servizi.
Va detto che i Programmi operativi sostengono la necessità – cui pure la stampa più avveduta fa riferimento – di investire sulla c.d. sanità del territorio attraverso il potenziamento dei distretti e delle competenze e funzioni dei medici di famiglia, ad esempio (cfr. CorriereSalute del 4.3.2012).
Tuttavia in tutte le regioni interessate il taglio di posti letto ospedalieri non è stato preceduto (perché così doveva essere per logica e per espressa dichiarata volontà dei commissari) dai necessari investimenti e ciò ha evidentemente scatenato l’unica reazione possibile, quella legale.
I ricorsi promossi si fondano essenzialmente su questi motivi:
1- i Commissari sono stati nominati per dare esecuzione ai piani di rientro contrattati nell’anno 2007 tra le regioni e il Governo; in nessuno dei piani di rientro delle regioni oggi commissariate si prevedeva la chiusura di presidi ospedalieri, ma, al massimo, la riduzione di posti letto. Nel momento in cui i Commissari adottano decisioni che configgono con il contenuto dei piani di rientro che essi sono tenuti ad attuare, è chiaro che vanno al di là del mandato ricevuto;
2- gli atti adottati dai Commissari sono atti di carattere amministrativo con la chiara conseguenza che essi non possono stabilire modifiche, sospensioni, abrogazioni o integrazioni di norme di legge regionale; in effetti, l’organizzazione del servizio sanitario regionale è disposta con legge regionale e, quindi, nessun atto amministrativo adottato dal Commissario può modificarne il contenuto perché è come se un decreto ministeriale cambiasse il contenuto della legge che deve applicare (questo principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale);
3- i Commissari, nel momento in cui ridisegnano la rete ospedaliera regionale (disponendo la chiusura di intere strutture), esercitano un potere che non gli è attribuito né dalla legge né dal Governo che li ha nominati; la potestà di regolamentare il servizio sanitario regionale e, in modo particolare, quella di stabilire come organizzare la rete ospedaliera, appartiene al Consiglio Regionale che deve esercitarla con propria legge secondo le forme stabilite dalla l. 833/1978 e dal d.lgs 502/1992 (anche questo principio è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale);
4- la decisione di chiudere presidi ospedalieri si fonda su istruttorie spesso errate poiché si pongono a fondamento delle decisioni dati non rispondenti al vero; ad esempio in alcuni casi non si tiene affatto in considerazione la oggettiva realtà geomorfologia, demografica o epidemiologica nella quale un ospedale (spesso parliamo di presidi ubicati in zone interne) opera; insomma, gli atti commissariali dispongono la chiusura di presidi senza tener conto del fatto che, in mancanza di quei posti letto, la popolazione non trova in nessun’altra struttura una risposta ai propri bisogni di salute.
Questi argomenti sono stati recepiti dalla giurisprudenza amministrativa che in diversi casi ha condiviso le argomentazioni formulate nei ricorsi accogliendoli e mettendo, di fatto, in crisi i progetti degli Uffici Commissariali. La reazione del Governo (del quale i Commissari sono rappresentanti nelle rispettive regioni)non è mancata, come si vedrà per il caso (unico in Italia) del Programma Operativo della regione Abruzzo(prima bocciato dal TAR e, poi, resuscitato con un decreto legge).
Negli ultimi giorni ho avuto modo di confrontarmi più volte con la giornalista alla quale avevo segnalato, qualche settimana fa, che nessuno era andato alla radice del problema dei disservizi in sanità (era il periodo in cui la cronaca si concentrava sui Pronti Soccorso di Roma).
Sostenevo e sostengo che se i grandi ospedali sono ingolfati e non riescono a fare eccellenza è perchè si taglia indiscriminatamente e questi tagli hanno coinvolto i piccoli ospedali.
Ecco perchè, oltre che per altre ragioni giuridiche (le spiego dopo), i giudici amministrativi hanno bocciato le scelte dei commissari nelle varie regioni in piano di rientro.
Cinque sono le regioni nelle quali il Governo ha nominato i presidenti quali commissari per l’attuazione del piano di rientro dal debito sanitario (Abruzzo, Molise, Lazio, Campania e Calabria).
Nel corso degli anni 2010 e 2011 i Commissari hanno adottato i c.d. “Programmi Operativi” con i quali, secondo le previsioni della l. 191/2009, avrebbero dovuto garantire la prosecuzione dei Piani di rientro (firmati tra regioni e ministeri nell’anno 2007).
Con questi Programmi, però, i Commissari hanno drasticamente tagliato i posti letto e, quindi, hanno disposto la chiusura di numerosi ospedali, dai 24 della regione Lazio ai 5 della Regione Abruzzo. La necessità di tagli ai posti letto (pure “giustificata” dal patto per la salute siglato nel dicembre 2008) si è scontrata con la assoluta carenza di misure alternative o complementari. Ne sono derivate una pesante riduzione dell’assistenza sanitaria e un ingolfamento delle strutture rimaste aperte.
Va detto, però, che non tutti si sono adeguati alle decisioni dei Commissari. Infatti, Comitati e Amministrazioni comunali hanno impugnato questi atti sollevando numerose questioni che vanno ben al di là della pur legittima pretesa di difendere il diritto alla salute e all’assistenza delle comunità rappresentate, spesso coincidenti con le zone più interne delle regioni interessate e, quindi, messe gravemente in crisi dalle riduzioni dei servizi.
Va detto che i Programmi operativi sostengono la necessità – cui pure la stampa più avveduta fa riferimento – di investire sulla c.d. sanità del territorio attraverso il potenziamento dei distretti e delle competenze e funzioni dei medici di famiglia, ad esempio (cfr. CorriereSalute del 4.3.2012).
Tuttavia in tutte le regioni interessate il taglio di posti letto ospedalieri non è stato preceduto (perché così doveva essere per logica e per espressa dichiarata volontà dei commissari) dai necessari investimenti e ciò ha evidentemente scatenato l’unica reazione possibile, quella legale.
I ricorsi promossi si fondano essenzialmente su questi motivi:
1- i Commissari sono stati nominati per dare esecuzione ai piani di rientro contrattati nell’anno 2007 tra le regioni e il Governo; in nessuno dei piani di rientro delle regioni oggi commissariate si prevedeva la chiusura di presidi ospedalieri, ma, al massimo, la riduzione di posti letto. Nel momento in cui i Commissari adottano decisioni che configgono con il contenuto dei piani di rientro che essi sono tenuti ad attuare, è chiaro che vanno al di là del mandato ricevuto;
2- gli atti adottati dai Commissari sono atti di carattere amministrativo con la chiara conseguenza che essi non possono stabilire modifiche, sospensioni, abrogazioni o integrazioni di norme di legge regionale; in effetti, l’organizzazione del servizio sanitario regionale è disposta con legge regionale e, quindi, nessun atto amministrativo adottato dal Commissario può modificarne il contenuto perché è come se un decreto ministeriale cambiasse il contenuto della legge che deve applicare (questo principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale);
3- i Commissari, nel momento in cui ridisegnano la rete ospedaliera regionale (disponendo la chiusura di intere strutture), esercitano un potere che non gli è attribuito né dalla legge né dal Governo che li ha nominati; la potestà di regolamentare il servizio sanitario regionale e, in modo particolare, quella di stabilire come organizzare la rete ospedaliera, appartiene al Consiglio Regionale che deve esercitarla con propria legge secondo le forme stabilite dalla l. 833/1978 e dal d.lgs 502/1992 (anche questo principio è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale);
4- la decisione di chiudere presidi ospedalieri si fonda su istruttorie spesso errate poiché si pongono a fondamento delle decisioni dati non rispondenti al vero; ad esempio in alcuni casi non si tiene affatto in considerazione la oggettiva realtà geomorfologia, demografica o epidemiologica nella quale un ospedale (spesso parliamo di presidi ubicati in zone interne) opera; insomma, gli atti commissariali dispongono la chiusura di presidi senza tener conto del fatto che, in mancanza di quei posti letto, la popolazione non trova in nessun’altra struttura una risposta ai propri bisogni di salute.
Questi argomenti sono stati recepiti dalla giurisprudenza amministrativa che in diversi casi ha condiviso le argomentazioni formulate nei ricorsi accogliendoli e mettendo, di fatto, in crisi i progetti degli Uffici Commissariali. La reazione del Governo (del quale i Commissari sono rappresentanti nelle rispettive regioni)non è mancata, come si vedrà per il caso (unico in Italia) del Programma Operativo della regione Abruzzo(prima bocciato dal TAR e, poi, resuscitato con un decreto legge).
venerdì 1 giugno 2012
Il prof. Ferro, cittadino onorario di Guardiagrele
Il conferimento della cittadinanza onoraria al prof. Ferro non va vissuto come un semplice (anche se certamente dovuto) omaggio a ciò che il Professore ha fatto. Per questo parla il suo curriculum e nulla va aggiunto. Se fosse così, del resto, staremmo qui solo per una circostanza formale e non per dare senso ai segni che compiamo.
Io vivo questa singolarissima circostanza come un motivo di impegno futuro per il Professore Ferro, per chi con lui ha collaborato, per chi lo ha seguito e per ciascuno di noi.
[In questa circostanza, poi, è come se si chiudesse un cerchio ideale che parte dalla storia più recente delle persone che negli ultimi anni sono diventate più guardiese grazie alla cittadinanza onoraria].
Essere cittadino vuol dire innanzitutto assumere obblighi verso la comunità; questo significato è ancor più carico di conseguenze se alla categoria della cittadinanza sostituiamo o affianchiamo quella della con- cittadinanza.
Se il Prof. Ferro oggi diventa cittadino onorario di Guardiagrele, al tempo stesso diventa con-cittadino di migliaia di altre persone che non solo risiedono in questa città, ma in essa lavorano, hanno investito per il proprio futuro.
E, se se è vero che ad ogni cittadino residente si chiede di rispondere a ciò che da questa condizione deriva, tanto più questo deve valere per chi questa con-cittadinanza la riceve in dono.
Certo, questa non è una trappola che abbiamo teso o, comunque, non è una trappola che abbiamo teso solo al protagonista di questa sessione straordinaria del consiglio comunale.
Quando, nel novembre scorso, ho ascoltato a Chieti le parole del Prof. Ferro in occasione del congresso internazionale, ma, soprattutto, ho visto la passione e la commozione con le quali ha pronunciato il nome della nostra città, mi sono chiesto se non fosse opportuno che anche lui potesse dirsi guardiese.
La cittadinanza, in effetti, non è un attributo esterno, ma è (dovrebbe essere) una condizione della persona che la costruisce e la fa agire in un determinato modo. Questo è il motivo per il quale la città “remunera” il Prof. Ferro con l’unica cosa che di più prezioso può dare: non un oggetto, non un riconoscimento effimero, ma la condizione per la quale – ripeto – il Prof. Ferro da oggi può dirsi (essendolo, nei fatti, già da tempo), un guardiese.
Due sono gli aspetti che, nel momento in cui ho pensato (e subito condiviso anche con il Prof. Ferro) l’idea di conferirgli la cittadinanza onoraria, mi sono venuti in mente: il fatto che il Prof. Ferro avesse portato il nome di Guardiagrele in prestigiosi consessi scientifici e la circostanza, non meno importante, che la presenza del SPDC a Guardiagrele ha fatto maturare una consapevolezza diversa delle relazioni umane.
Sul primo punto, mi limito a segnalare (soprattutto a chi guardiese non è né per residenza ne di fatto) che si può solo immaginare il senso di orgoglio che ogni guardiese prova al sentire il nome della sua città. Se, poi, questo avviene in una sede di elevato livello e da chi a quel livello conferisce prestigio, allora si può comprendere quanto questa motivazione sia pregnante.
E, si badi bene che non è qualcosa di effimero; è, anzi, qualcosa di altrettanto “denso” rispetto alla pure importante conseguenza (in termini di visibilità e risonanza che la città può avere), al pronunciare il nome della città e al segnalare che essa è sede del SPDC nel quale le teorie trovano applicazione e i volti anonimi assumono una identità, di generare negli ascoltatori l’interrogativo su come sia possibile che tutto questo si verifichi in un presidio di provincia. Senza dire, poi, della curiosità che sul nome della nostra città si concentra e che trova sfogo nell’approfondimento della sua conoscenza.
Quanto al secondo punto, richiamo quanto giustamente si dice nel documento che ho predisposto e condiviso con il signor Sindaco. Si afferma che all’inizio è stato difficile, ma si sa che i processi di trasformazione della persona e, ancor di più, della comunità, sono lunghi e originano, magari, da un trauma. Quel trauma Guardiagrele lo subì nel 1998, ma poi è stato elaborato, assorbito, portato a maturazione per far emergere quel che Guardiagrele è: una città accogliente e sensibile nell’anima; una città disposta a “spezzare” quell’anima per darla a chi non l’ha integra (ferita) sol che se ne dia l’occasione, l’opportunità.
Questa elaborazione è stata possibile grazie a tutto ciò che il Prof. Ferro ha rappresentato. Perché in lui si condensa un insieme fatto di condizioni oggettive (il luogo) e di persone (collaboratori ad ogni livello). Lavorare sulle relazioni tra le persone è diventato, anche al di fuori della clinica, più semplice. E’ stato possibile assumere si di sé (da parte di ciascuno) la diversità in maniera più semplice o, addirittura, naturale. L’approccio con la condizione della malattia mentale ha consentito di guardare alla diversità con una atteggiamento meno diffidente. Ha consentito di elaborare una identità più vera non solo dei singoli, ma della comunità (guardiese) intera. Ci troviamo di fronte ad un rapporto “generativo” continuo che anche grazie a questa significativa presenza, la città ha rinnovato e rinnova ogni giorno. E volete che ha rappresentato tutto questo non debba, anche nel nome, sentirsi parte di questa comunità.
Ma questo è un patrimonio troppo importante perché vada perduto ed è per questo che, tornando a quel che dicevo all’inizio, questa non è cerimonia di vuote formalità, ma momento nel quale ciascuno assume o ri-assume una responsabilità.
Lo ha chiarito in maniera trasparente proprio il prof. Ferro quando ha levato la voce contro i tentativi, ancora attualissimi, di disgregazione del nostro ospedale. Diciamolo con franchezza: se il SS. Immacolata – che è stato il grembo nel quale questo rapporto generativo è nato – rapporto nel quale la clinica e la comunità si sono reciprocamente nutrite l’una dell’altra consentendo alla prima di crescere e diventare quel che è e alla seconda di riscoprire l’anima, come prima ho detto) – ebbene se questo grembo viene neutralizzato, non avremo più un parto, ma un aborto.
Qui va detto in maniera chiara che l’impegno da assumere non è quello di tutelare un campanile, ma quello di garantire una sanità vicina alla gente, una sanità dal volto umano – con ciò parafrasando un’espressione del prof. Ferro ripresa dai suoi collaboratore e a me molto cara.
Questo è possibile, e lo dico al mondo accademico oggi rappresentato al massimo livello. La psichiatria di Guardiagrele ha dimostrato la possibilità di quel che a molti sembra impossibile e, cioè, che il dialogo con l’Università può essere condizione di arricchimento e crescita reciproca. Tutto questo è ancora possibile se consideriamo che il SS. Immacolata è sede di due cliniche universitarie. Chiedo al Rettore e chiedo al Preside di Facoltà, ma lo chiedo a tutti: lavoriamo insieme perché la sanità innanzitutto ci sia, possa fare qualità; dove è necessario e doveroso possa fare eccellenza, ma, in ogni caso, sia vicina alla gente. Non è facile, è chiaro, ma credo che sia necessario provarci.
Questi, a mio avviso, devono essere i frutti di un lavoro così importante. Giustamente nella relazione al congresso di Chieti (dove ciò che viviamo oggi ha avuto origine) si diceva che è stato il lavoro di squadra a produrre il frutto ed è stato l’insieme di queste condizioni a portare i risultati che diversamente non sarebbero germinati.
Ma non avrebbe nessun senso essere qui, se da qui non si partisse per progettare un futuro possibile.
Proprio a questo penso quando dico che da questo momento nascono ulteriori responsabilità: il lavoro fatto in questi anni in tanto può avere un senso in quando ci si impegna perché non vada perduto. Il Convegno che cito per la terza volta, infatti, si proponeva di inaugurare ciò che dai temi teorici e clinici propugnati dal Prof. Ferro, dovrà adesso evolvere e germinare.
[E così che si chiude il cerchio, il ciclo che negli anni ci ha portato ad allargare la nostra comunità con alcuni cittadini onorari: nel 2008 Doris Blumenkranz e Evelina Graubardt, internate a Guardiagrele nel 1941-1943 sono cittadine onorarie perchè da Guardiagrele hanno ricevuto e, con esse, si dimostra come i valori della solidarietà, del pluralismo e dell’incontro siano profondamente incarnati nella nostra storia; il prof., Ferro è cittadino onorario è cittadino onorario perché quei valori ha contribuito a rivitalizzare. E’ come dire che è cittadino onorario di Guardiagrele chi ha a che fare con questa materia].
Il conferimento della cittadinanza (con-cittadinanza) è, quindi, l’onore che si rende con gratitudine a chi ha consentito di (ri)maturare tutto questo; a chi con semplicità ha attirato le attenzioni di una comunità che si è fatta sempre più sensibile ai problemi della marginalità; a chi oggi gioisce (“mi ha acceso un sole”, mi ha detto quando le ho comunicato telefonicamente questa iniziativa) – è capace di gioire (ecco perché si parla di semplicità) – per un dono che compensa quel che si è dato; a chi non si è fatto scudo della scienza ed ha, invece, con disponibilità all’ascolto e all’incontro, saputo dialogare, consigliare, indirizzare; a chi consegna a tutti non un’idea, ma un fatto; a chi ha saputo costruire intorno a sé una squadra che oggi, insieme a tutta la comunità di Guardiagrele, ha ancora voglia di sperare – e qui rubo il finale della relazione al congresso di Chieti - che l’età del Ferro continui, in realtà, ad essere ancora l’età dell’oro.
Io vivo questa singolarissima circostanza come un motivo di impegno futuro per il Professore Ferro, per chi con lui ha collaborato, per chi lo ha seguito e per ciascuno di noi.
[In questa circostanza, poi, è come se si chiudesse un cerchio ideale che parte dalla storia più recente delle persone che negli ultimi anni sono diventate più guardiese grazie alla cittadinanza onoraria].
Essere cittadino vuol dire innanzitutto assumere obblighi verso la comunità; questo significato è ancor più carico di conseguenze se alla categoria della cittadinanza sostituiamo o affianchiamo quella della con- cittadinanza.
Se il Prof. Ferro oggi diventa cittadino onorario di Guardiagrele, al tempo stesso diventa con-cittadino di migliaia di altre persone che non solo risiedono in questa città, ma in essa lavorano, hanno investito per il proprio futuro.
E, se se è vero che ad ogni cittadino residente si chiede di rispondere a ciò che da questa condizione deriva, tanto più questo deve valere per chi questa con-cittadinanza la riceve in dono.
Certo, questa non è una trappola che abbiamo teso o, comunque, non è una trappola che abbiamo teso solo al protagonista di questa sessione straordinaria del consiglio comunale.
Quando, nel novembre scorso, ho ascoltato a Chieti le parole del Prof. Ferro in occasione del congresso internazionale, ma, soprattutto, ho visto la passione e la commozione con le quali ha pronunciato il nome della nostra città, mi sono chiesto se non fosse opportuno che anche lui potesse dirsi guardiese.
La cittadinanza, in effetti, non è un attributo esterno, ma è (dovrebbe essere) una condizione della persona che la costruisce e la fa agire in un determinato modo. Questo è il motivo per il quale la città “remunera” il Prof. Ferro con l’unica cosa che di più prezioso può dare: non un oggetto, non un riconoscimento effimero, ma la condizione per la quale – ripeto – il Prof. Ferro da oggi può dirsi (essendolo, nei fatti, già da tempo), un guardiese.
Due sono gli aspetti che, nel momento in cui ho pensato (e subito condiviso anche con il Prof. Ferro) l’idea di conferirgli la cittadinanza onoraria, mi sono venuti in mente: il fatto che il Prof. Ferro avesse portato il nome di Guardiagrele in prestigiosi consessi scientifici e la circostanza, non meno importante, che la presenza del SPDC a Guardiagrele ha fatto maturare una consapevolezza diversa delle relazioni umane.
Sul primo punto, mi limito a segnalare (soprattutto a chi guardiese non è né per residenza ne di fatto) che si può solo immaginare il senso di orgoglio che ogni guardiese prova al sentire il nome della sua città. Se, poi, questo avviene in una sede di elevato livello e da chi a quel livello conferisce prestigio, allora si può comprendere quanto questa motivazione sia pregnante.
E, si badi bene che non è qualcosa di effimero; è, anzi, qualcosa di altrettanto “denso” rispetto alla pure importante conseguenza (in termini di visibilità e risonanza che la città può avere), al pronunciare il nome della città e al segnalare che essa è sede del SPDC nel quale le teorie trovano applicazione e i volti anonimi assumono una identità, di generare negli ascoltatori l’interrogativo su come sia possibile che tutto questo si verifichi in un presidio di provincia. Senza dire, poi, della curiosità che sul nome della nostra città si concentra e che trova sfogo nell’approfondimento della sua conoscenza.
Quanto al secondo punto, richiamo quanto giustamente si dice nel documento che ho predisposto e condiviso con il signor Sindaco. Si afferma che all’inizio è stato difficile, ma si sa che i processi di trasformazione della persona e, ancor di più, della comunità, sono lunghi e originano, magari, da un trauma. Quel trauma Guardiagrele lo subì nel 1998, ma poi è stato elaborato, assorbito, portato a maturazione per far emergere quel che Guardiagrele è: una città accogliente e sensibile nell’anima; una città disposta a “spezzare” quell’anima per darla a chi non l’ha integra (ferita) sol che se ne dia l’occasione, l’opportunità.
Questa elaborazione è stata possibile grazie a tutto ciò che il Prof. Ferro ha rappresentato. Perché in lui si condensa un insieme fatto di condizioni oggettive (il luogo) e di persone (collaboratori ad ogni livello). Lavorare sulle relazioni tra le persone è diventato, anche al di fuori della clinica, più semplice. E’ stato possibile assumere si di sé (da parte di ciascuno) la diversità in maniera più semplice o, addirittura, naturale. L’approccio con la condizione della malattia mentale ha consentito di guardare alla diversità con una atteggiamento meno diffidente. Ha consentito di elaborare una identità più vera non solo dei singoli, ma della comunità (guardiese) intera. Ci troviamo di fronte ad un rapporto “generativo” continuo che anche grazie a questa significativa presenza, la città ha rinnovato e rinnova ogni giorno. E volete che ha rappresentato tutto questo non debba, anche nel nome, sentirsi parte di questa comunità.
Ma questo è un patrimonio troppo importante perché vada perduto ed è per questo che, tornando a quel che dicevo all’inizio, questa non è cerimonia di vuote formalità, ma momento nel quale ciascuno assume o ri-assume una responsabilità.
Lo ha chiarito in maniera trasparente proprio il prof. Ferro quando ha levato la voce contro i tentativi, ancora attualissimi, di disgregazione del nostro ospedale. Diciamolo con franchezza: se il SS. Immacolata – che è stato il grembo nel quale questo rapporto generativo è nato – rapporto nel quale la clinica e la comunità si sono reciprocamente nutrite l’una dell’altra consentendo alla prima di crescere e diventare quel che è e alla seconda di riscoprire l’anima, come prima ho detto) – ebbene se questo grembo viene neutralizzato, non avremo più un parto, ma un aborto.
Qui va detto in maniera chiara che l’impegno da assumere non è quello di tutelare un campanile, ma quello di garantire una sanità vicina alla gente, una sanità dal volto umano – con ciò parafrasando un’espressione del prof. Ferro ripresa dai suoi collaboratore e a me molto cara.
Questo è possibile, e lo dico al mondo accademico oggi rappresentato al massimo livello. La psichiatria di Guardiagrele ha dimostrato la possibilità di quel che a molti sembra impossibile e, cioè, che il dialogo con l’Università può essere condizione di arricchimento e crescita reciproca. Tutto questo è ancora possibile se consideriamo che il SS. Immacolata è sede di due cliniche universitarie. Chiedo al Rettore e chiedo al Preside di Facoltà, ma lo chiedo a tutti: lavoriamo insieme perché la sanità innanzitutto ci sia, possa fare qualità; dove è necessario e doveroso possa fare eccellenza, ma, in ogni caso, sia vicina alla gente. Non è facile, è chiaro, ma credo che sia necessario provarci.
Questi, a mio avviso, devono essere i frutti di un lavoro così importante. Giustamente nella relazione al congresso di Chieti (dove ciò che viviamo oggi ha avuto origine) si diceva che è stato il lavoro di squadra a produrre il frutto ed è stato l’insieme di queste condizioni a portare i risultati che diversamente non sarebbero germinati.
Ma non avrebbe nessun senso essere qui, se da qui non si partisse per progettare un futuro possibile.
Proprio a questo penso quando dico che da questo momento nascono ulteriori responsabilità: il lavoro fatto in questi anni in tanto può avere un senso in quando ci si impegna perché non vada perduto. Il Convegno che cito per la terza volta, infatti, si proponeva di inaugurare ciò che dai temi teorici e clinici propugnati dal Prof. Ferro, dovrà adesso evolvere e germinare.
[E così che si chiude il cerchio, il ciclo che negli anni ci ha portato ad allargare la nostra comunità con alcuni cittadini onorari: nel 2008 Doris Blumenkranz e Evelina Graubardt, internate a Guardiagrele nel 1941-1943 sono cittadine onorarie perchè da Guardiagrele hanno ricevuto e, con esse, si dimostra come i valori della solidarietà, del pluralismo e dell’incontro siano profondamente incarnati nella nostra storia; il prof., Ferro è cittadino onorario è cittadino onorario perché quei valori ha contribuito a rivitalizzare. E’ come dire che è cittadino onorario di Guardiagrele chi ha a che fare con questa materia].
Il conferimento della cittadinanza (con-cittadinanza) è, quindi, l’onore che si rende con gratitudine a chi ha consentito di (ri)maturare tutto questo; a chi con semplicità ha attirato le attenzioni di una comunità che si è fatta sempre più sensibile ai problemi della marginalità; a chi oggi gioisce (“mi ha acceso un sole”, mi ha detto quando le ho comunicato telefonicamente questa iniziativa) – è capace di gioire (ecco perché si parla di semplicità) – per un dono che compensa quel che si è dato; a chi non si è fatto scudo della scienza ed ha, invece, con disponibilità all’ascolto e all’incontro, saputo dialogare, consigliare, indirizzare; a chi consegna a tutti non un’idea, ma un fatto; a chi ha saputo costruire intorno a sé una squadra che oggi, insieme a tutta la comunità di Guardiagrele, ha ancora voglia di sperare – e qui rubo il finale della relazione al congresso di Chieti - che l’età del Ferro continui, in realtà, ad essere ancora l’età dell’oro.
venerdì 13 gennaio 2012
sabato 31 dicembre 2011
venerdì 23 dicembre 2011
domenica 30 ottobre 2011
Privilegi ed interessi? Ma per favore! (lettera al Centro)
Caro Direttore,
nell’ultimo anno ho avuto modo di occuparmi del cosiddetto riordino della sanità abruzzese e, in modo particolare, della cosiddetta riorganizzazione della rete ospedaliera.
Nel maggio scorso, come tutti ricorderanno, il TAR Abruzzo ha annullato il programma operativo nella parte in cui disponeva la chiusura dei piccoli ospedali.
Tra essi quello di Guardiagrele è ancora attivo grazie al pronunciamento del Consiglio di Stato che, quasi un anno fa, sospese i provvedimenti commissariali ritenendo che dovesse essere tutelato il diritto alla salute costituzionalmente garantito.Si ricorderà anche che, all’indomani di quelle decisioni, il governo trasformò in legge il programma operativo annullando, di fatto, le decisioni che lo avevano bocciato.
Insomma, un cortocircuito dal quale potrà tirarci fuori solo la Corte Costituzionale appena il TAR, che abbiamo già sollecitato, vorrà trasmettere il fascicolo alla Consulta.Intanto i piccoli ospedali, tranne Guardiagrele, non esistono più e in tutte le zone interne si soffre di gravi carenze assistenziali perché la sanità del territorio che, per dichiarazione di principio del Commissario Chiodi, dovrebbe garantire la salute dei cittadini evitando ricoveri asseritamene inutili negli ospedali, tarda a manifestarsi.
In attesa di questa epifania, non ho potuto fare a meno di recarmi a Chieti, ieri, per capire come Chiodi e il ministro Fazio pensano di poter passare (come diceva il titolo del convegno) dal piano di rientro al piano di sviluppo.
Non mi aspettavo molto, a dire la verità. L’attesa di una cruda relazione sui dati positivi raggiunti, sui pareggi di bilancio non è stata delusa (lo dico con amara ironia, ovviamente). E così, ancora una volta, abbiamo ascoltato e letto rapporti sul deficit ormai ridotto a zero, su tassi di inappropriatezza di ricoveri quasi inesistenti, su efficienze dei presidi territoriali (quelli che hanno sostituito gli ospedali) e così via.
Il vero problema è che gli interventi sono stati conditi da affermazioni che feriscono quanti hanno ritenuto e ritengono di dover combattere la buona battaglia della sanità nelle zone interne (e non solo) avendo come criterio di riferimento solo ed esclusivamente quello della tutela del diritto alla salute e della difesa della sanità pubblica.
Un criterio, questo, che non nasce dalla lettura di rapporti, numeri e tabelle, ma semplicemente dalla concreta esperienza quotidiana che consente di guardare la realtà con occhio attento alle necessità della nostra gente.Questo ci ha convinto sin dal maggio 2010 del fatto era indispensabile iniziare anche una azione legale che, alla fine, ci ha dato ragione ed ha aperto la strada ad esiti analoghi anche in altre comunità (Agnone, Atri, Anagni) e ne fa sperare altre (Pontecorvo, Subiaco…).
Ecco perché è stato davvero fastidioso sentir dire da chi è intervenuto che la gente che ha lottato non voleva perdere proprie comodità, stava difendendo privilegi ed interessi, stava danneggiando il servizio sanità.
Insomma, la nostra era una lotta di retroguardia che, alla fine, tutelava posizioni di potere e non la salute dei cittadini.Beh, se non avessimo difeso questi poteri (ironizzo ancora, s’intende!), nell’ultimo anno dove mai, ad esempio, i pazienti ricoverati a Guardiagrele (e non certo per patologie inesistenti) avrebbero trovato posto?
, non credo davvero che chi ha ingaggiato una battaglia (questa sì contro il potere della regione e del governo), avesse in mente di proteggere qualcuno in particolare.
Ma oltre al dileggio abbiamo assistito anche all’epopea del sogno. Nessuno ha mai detto che la cosiddetta sanità del territorio (quella, cioè, che si “dispensa” fuori dall’ospedale), non sia necessaria.
come si può sostenere che questa, soprattutto nelle sedi degli ospedali chiusi, è stata potenziata e migliorata?
I presidi di assistenza dovrebbero addirittura sgravare i gradi ospedali provvedendo ad esami laboratoriali, servizi diagnostici, viste ambulatoriali.Eppure, se si guarda alla realtà, si vede come la carenza di personale (nonostante la possibilità di fare nuove assunzioni) è ancora causa di disservizi: manca chi legga radiografie e tac; mancano tecnici di laboratorio; mancano specialisti e i distretti sono ridotti ai minimi termini.
Insomma, avremo pure raggiunto il pareggio di bilancio e le ASL avranno pure ridotto i loro deficit, ma il prezzo è stato ed è ancora molto, troppo alto. MA questo nessuno lo vede, forse
Di certo nessuno lo ha detto ieri.
Eccoperché continueremo la buona battaglia.
Simone Dal Pozzo - Guardiagrele
nell’ultimo anno ho avuto modo di occuparmi del cosiddetto riordino della sanità abruzzese e, in modo particolare, della cosiddetta riorganizzazione della rete ospedaliera.
Nel maggio scorso, come tutti ricorderanno, il TAR Abruzzo ha annullato il programma operativo nella parte in cui disponeva la chiusura dei piccoli ospedali.
Tra essi quello di Guardiagrele è ancora attivo grazie al pronunciamento del Consiglio di Stato che, quasi un anno fa, sospese i provvedimenti commissariali ritenendo che dovesse essere tutelato il diritto alla salute costituzionalmente garantito.Si ricorderà anche che, all’indomani di quelle decisioni, il governo trasformò in legge il programma operativo annullando, di fatto, le decisioni che lo avevano bocciato.
Insomma, un cortocircuito dal quale potrà tirarci fuori solo la Corte Costituzionale appena il TAR, che abbiamo già sollecitato, vorrà trasmettere il fascicolo alla Consulta.Intanto i piccoli ospedali, tranne Guardiagrele, non esistono più e in tutte le zone interne si soffre di gravi carenze assistenziali perché la sanità del territorio che, per dichiarazione di principio del Commissario Chiodi, dovrebbe garantire la salute dei cittadini evitando ricoveri asseritamene inutili negli ospedali, tarda a manifestarsi.
In attesa di questa epifania, non ho potuto fare a meno di recarmi a Chieti, ieri, per capire come Chiodi e il ministro Fazio pensano di poter passare (come diceva il titolo del convegno) dal piano di rientro al piano di sviluppo.
Non mi aspettavo molto, a dire la verità. L’attesa di una cruda relazione sui dati positivi raggiunti, sui pareggi di bilancio non è stata delusa (lo dico con amara ironia, ovviamente). E così, ancora una volta, abbiamo ascoltato e letto rapporti sul deficit ormai ridotto a zero, su tassi di inappropriatezza di ricoveri quasi inesistenti, su efficienze dei presidi territoriali (quelli che hanno sostituito gli ospedali) e così via.
Il vero problema è che gli interventi sono stati conditi da affermazioni che feriscono quanti hanno ritenuto e ritengono di dover combattere la buona battaglia della sanità nelle zone interne (e non solo) avendo come criterio di riferimento solo ed esclusivamente quello della tutela del diritto alla salute e della difesa della sanità pubblica.
Un criterio, questo, che non nasce dalla lettura di rapporti, numeri e tabelle, ma semplicemente dalla concreta esperienza quotidiana che consente di guardare la realtà con occhio attento alle necessità della nostra gente.Questo ci ha convinto sin dal maggio 2010 del fatto era indispensabile iniziare anche una azione legale che, alla fine, ci ha dato ragione ed ha aperto la strada ad esiti analoghi anche in altre comunità (Agnone, Atri, Anagni) e ne fa sperare altre (Pontecorvo, Subiaco…).
Ecco perché è stato davvero fastidioso sentir dire da chi è intervenuto che la gente che ha lottato non voleva perdere proprie comodità, stava difendendo privilegi ed interessi, stava danneggiando il servizio sanità.
Insomma, la nostra era una lotta di retroguardia che, alla fine, tutelava posizioni di potere e non la salute dei cittadini.Beh, se non avessimo difeso questi poteri (ironizzo ancora, s’intende!), nell’ultimo anno dove mai, ad esempio, i pazienti ricoverati a Guardiagrele (e non certo per patologie inesistenti) avrebbero trovato posto?
, non credo davvero che chi ha ingaggiato una battaglia (questa sì contro il potere della regione e del governo), avesse in mente di proteggere qualcuno in particolare.
Ma oltre al dileggio abbiamo assistito anche all’epopea del sogno. Nessuno ha mai detto che la cosiddetta sanità del territorio (quella, cioè, che si “dispensa” fuori dall’ospedale), non sia necessaria.
come si può sostenere che questa, soprattutto nelle sedi degli ospedali chiusi, è stata potenziata e migliorata?
I presidi di assistenza dovrebbero addirittura sgravare i gradi ospedali provvedendo ad esami laboratoriali, servizi diagnostici, viste ambulatoriali.Eppure, se si guarda alla realtà, si vede come la carenza di personale (nonostante la possibilità di fare nuove assunzioni) è ancora causa di disservizi: manca chi legga radiografie e tac; mancano tecnici di laboratorio; mancano specialisti e i distretti sono ridotti ai minimi termini.
Insomma, avremo pure raggiunto il pareggio di bilancio e le ASL avranno pure ridotto i loro deficit, ma il prezzo è stato ed è ancora molto, troppo alto. MA questo nessuno lo vede, forse
Di certo nessuno lo ha detto ieri.
Eccoperché continueremo la buona battaglia.
Simone Dal Pozzo - Guardiagrele
martedì 27 settembre 2011
giovedì 1 settembre 2011
giovedì 25 agosto 2011
venerdì 15 luglio 2011
martedì 5 luglio 2011
mercoledì 29 giugno 2011
Governo e commissario chiudono l'ospedale per decreto legge!
1. Premessa
Il Gruppo consiliare "Guardiagrele il bene in comune" segue con la massima attenzione la questione relativa alla chiusura dei piccoli ospedali prevista dal Programma Operativo 2010 del commissario alla sanità e presidente della regione Abruzzo.
Dopo avere impugnato quel provvedimento ed avere riportato una vittoria in fase cautelare davanti al Consiglio di Stato e, quindi, due vittorie nel merito davanti al TAR Abruzzo, annuncia che l'Ufficio commissariale ha proposto appello contro le sentenze chiedendone la revoca.
Appena dopo le sentenze (maggio 2011), il presidente Chiodi chiese ed ottenne la convocazione di un vertice a Roma per verificare come poter proseguire l'incarico commissariale, a suo avviso ostacolato dai provvedimenti del Giudice Amministrativo.
In quella sede venne annunciato un provvedimento da parte del Governo.
A questo punto, per evitare colpi di mano da parte del Governo nazionale e regionale, lo scorso 1° giugno, il gruppo consiliare ha diffidato il Presidente del Consiglio Regionale dal portare in discussione provvedimenti modificativi del Piano Sanitario del 2008 e il Governo (nelle persone del presidente del Consiglio e dei Ministri dell'Economia e della Salute) dall'adottare atti che potessero attribuire poteri commissariali confliggenti con le norme di legge che dicono che ad altri spetta il potere diprogrammazione sanitaria.
Il gruppo consiliare, che ha agito in giudizio con il patrocinio dell'Avv. Simone Dal Pozzo, ha seguito la fase successiva e anche gli sviluppi degli ultimi giorni relativi alla manovra economica di cui nella serata del 28 giugno 2011, a seguito del vertice di maggioranza, è stata diffusa una bozza.
Il gruppo, quindi, si rivela ancora una volta una sentinella posta a guardia della tutela degli interssi della comunità e lancia, a un anno dalla prima bozza del Programma Operativo, l'allarme su un decreto che potrebbe far rivivere quel che il TAR aveva, su nostro ricorso, cancellato.
2. La bozza della manovra estiva: l'ospedale di Guardiagrele chiude per decreto legge
Dalla lettura del documento emerge che quel che il governo aveva annunciato lo scorso 24 maggio nel vertice romano con i commissari alla sanità si è materializzato a pagina 24 della bozza di manovra economica discussa il 28 giugno nel vertice di maggioranza e, anzi, quel che il Governo si appresterebbe ad approvare è addirittura peggio di quanto si potesse immaginare.
Nella manovra estiva proposta da Tremonti si dicono essenzialmente due cose.
La prima. Se vi sono contrasti tra il Piano di rientro e il Programma Operativo da una parte e, dall'altra, norme regionali, il Consiglio regionale, rilevato il contrasto anche su indicazione del commissario, è chiamato ad adottare i provvedimenti necessari entro sessanta gionri. Se non lo fa, interviene il Governo sostituendosi alla regione.
La seconda previsione è quella più pericolosa perchè riserva un trattamento speciale alla regione Abruzzo quale evidente effetto delle sentenze con le quali il TAR ha salvato i piccoli ospedali.
Il Governo trasforma in una legge dello stato il programma operativo 2010 (quello bocciato dai TAR) e, dopo avergli modificato l'incarico commissariale, dà 60 giorni a Chiodi per approvare il Piano Sanitario regionale 2011 - 2012.
Purtroppo le previsioni di un colpo di mano che ci avevano costretto a diffidare anche il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle Finanze e della Salute, alla luce dei fatti, si sono rivelate fondate. E questo dimostra ancora una volta la forza delle posizioni espresse da ormai un anno dal gruppo consiliare di centrosinistra "Guardiagrele il bene in comune" che ha condotto una battaglia pionieristica sulla salvaguardia dei piccoli ospedali, aprendo la strada ad un filone che ha fatto scuola anche in Molise e nel Lazio; una forza che, per essere contrastata, ha richiesto addirittura un intervento del governo nazionale.
Temevamo, in effeti, che il Governo potesse superare quanto il TAR aveva detto e, cioè, che il potere di programmazione sanitaria spetta alla Regione e così, purtroppo, è stato.
Ovviamente si tratta di una bozza, ma se il tutto si trasformasse nel decreto legge annunciato per giovedì, questo significherebbe che in pochi giorni l'ospedale di Guardiagrele sarebbe chiuso e quelli che, pur essendo disattivati, sono stati salvati, perderanno definitivamente la speranza di tornare a funzionare.
Un decreto legge, infatti, appena dopo la firma del Presidente della Repubblica, è legge ed ha efficacia immediata anche prima della conversione in legge che deve avvenire in Parlamento entro sessanta giorni dalla sua adozione.
Insomma, l'ospedale di Guardiagrele chiude per decreto legge: questa è la verità dei fatti di fronte alla quale non ci si può arrendere.
E' vero che in poche sciagurate righe si cancellano mesi e mesi di battaglie e si barattano i diritti per i bilanci che certamente non sono in rosso per i piccoli ospedali, ma è altrettanto vero che la guerra non è ancora finita. Sbaglia, infatti, il Governo se crede di poter liquidare la pratica con la decretazione d'urgenza.
Resta aperto il fronte giudiziario anche a seguito dell'appello appena notificato dal commissario, appello che, però, potrebbe anche avere una vita breve se il Consiglio di Stato, alla luce del decreto legge, dovesse dichiarare cessata la materia del contendere visto che il Programma Operativo, come atto amministrativo non esiste più. Comunque sia, annunciamo sin da ora che queste norme saranno immediatamente impugnate davanti alla Corte Costituzionale.
Resta, poi, aperto anche il fronte della "lotta" politica. Con una nota inviata la scorsa notte al Presidente Napolitano lo abbiamo invitato a non firmare il decreto legge non solo per salvare il nostro ospedale, ma anche perchè quel provvedimento demolisce in un solo colpo i principi più importanti della Costituzione in tema di autonomie: sussidiarietà e leale collaborazione.
Se anche su questo decreto legge, qualora fosse approvato così come è, il governo dovesse porre la fiducia, è chiaro che i parlamentari abruzzesi che la votassero, assumerebbero di fronte all'intera regione una grave responsabilità.
Resta, per ora, l'invito al Governo a stralciare completamente questa parte dal decreto legge con l'invito ad abbandonare la via autoritativa e a rispettare i diritti dei cittadini.
Il Gruppo consiliare "Guardiagrele il bene in comune" segue con la massima attenzione la questione relativa alla chiusura dei piccoli ospedali prevista dal Programma Operativo 2010 del commissario alla sanità e presidente della regione Abruzzo.
Dopo avere impugnato quel provvedimento ed avere riportato una vittoria in fase cautelare davanti al Consiglio di Stato e, quindi, due vittorie nel merito davanti al TAR Abruzzo, annuncia che l'Ufficio commissariale ha proposto appello contro le sentenze chiedendone la revoca.
Appena dopo le sentenze (maggio 2011), il presidente Chiodi chiese ed ottenne la convocazione di un vertice a Roma per verificare come poter proseguire l'incarico commissariale, a suo avviso ostacolato dai provvedimenti del Giudice Amministrativo.
In quella sede venne annunciato un provvedimento da parte del Governo.
A questo punto, per evitare colpi di mano da parte del Governo nazionale e regionale, lo scorso 1° giugno, il gruppo consiliare ha diffidato il Presidente del Consiglio Regionale dal portare in discussione provvedimenti modificativi del Piano Sanitario del 2008 e il Governo (nelle persone del presidente del Consiglio e dei Ministri dell'Economia e della Salute) dall'adottare atti che potessero attribuire poteri commissariali confliggenti con le norme di legge che dicono che ad altri spetta il potere diprogrammazione sanitaria.
Il gruppo consiliare, che ha agito in giudizio con il patrocinio dell'Avv. Simone Dal Pozzo, ha seguito la fase successiva e anche gli sviluppi degli ultimi giorni relativi alla manovra economica di cui nella serata del 28 giugno 2011, a seguito del vertice di maggioranza, è stata diffusa una bozza.
Il gruppo, quindi, si rivela ancora una volta una sentinella posta a guardia della tutela degli interssi della comunità e lancia, a un anno dalla prima bozza del Programma Operativo, l'allarme su un decreto che potrebbe far rivivere quel che il TAR aveva, su nostro ricorso, cancellato.
2. La bozza della manovra estiva: l'ospedale di Guardiagrele chiude per decreto legge
Dalla lettura del documento emerge che quel che il governo aveva annunciato lo scorso 24 maggio nel vertice romano con i commissari alla sanità si è materializzato a pagina 24 della bozza di manovra economica discussa il 28 giugno nel vertice di maggioranza e, anzi, quel che il Governo si appresterebbe ad approvare è addirittura peggio di quanto si potesse immaginare.
Nella manovra estiva proposta da Tremonti si dicono essenzialmente due cose.
La prima. Se vi sono contrasti tra il Piano di rientro e il Programma Operativo da una parte e, dall'altra, norme regionali, il Consiglio regionale, rilevato il contrasto anche su indicazione del commissario, è chiamato ad adottare i provvedimenti necessari entro sessanta gionri. Se non lo fa, interviene il Governo sostituendosi alla regione.
La seconda previsione è quella più pericolosa perchè riserva un trattamento speciale alla regione Abruzzo quale evidente effetto delle sentenze con le quali il TAR ha salvato i piccoli ospedali.
Il Governo trasforma in una legge dello stato il programma operativo 2010 (quello bocciato dai TAR) e, dopo avergli modificato l'incarico commissariale, dà 60 giorni a Chiodi per approvare il Piano Sanitario regionale 2011 - 2012.
Purtroppo le previsioni di un colpo di mano che ci avevano costretto a diffidare anche il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri delle Finanze e della Salute, alla luce dei fatti, si sono rivelate fondate. E questo dimostra ancora una volta la forza delle posizioni espresse da ormai un anno dal gruppo consiliare di centrosinistra "Guardiagrele il bene in comune" che ha condotto una battaglia pionieristica sulla salvaguardia dei piccoli ospedali, aprendo la strada ad un filone che ha fatto scuola anche in Molise e nel Lazio; una forza che, per essere contrastata, ha richiesto addirittura un intervento del governo nazionale.
Temevamo, in effeti, che il Governo potesse superare quanto il TAR aveva detto e, cioè, che il potere di programmazione sanitaria spetta alla Regione e così, purtroppo, è stato.
Ovviamente si tratta di una bozza, ma se il tutto si trasformasse nel decreto legge annunciato per giovedì, questo significherebbe che in pochi giorni l'ospedale di Guardiagrele sarebbe chiuso e quelli che, pur essendo disattivati, sono stati salvati, perderanno definitivamente la speranza di tornare a funzionare.
Un decreto legge, infatti, appena dopo la firma del Presidente della Repubblica, è legge ed ha efficacia immediata anche prima della conversione in legge che deve avvenire in Parlamento entro sessanta giorni dalla sua adozione.
Insomma, l'ospedale di Guardiagrele chiude per decreto legge: questa è la verità dei fatti di fronte alla quale non ci si può arrendere.
E' vero che in poche sciagurate righe si cancellano mesi e mesi di battaglie e si barattano i diritti per i bilanci che certamente non sono in rosso per i piccoli ospedali, ma è altrettanto vero che la guerra non è ancora finita. Sbaglia, infatti, il Governo se crede di poter liquidare la pratica con la decretazione d'urgenza.
Resta aperto il fronte giudiziario anche a seguito dell'appello appena notificato dal commissario, appello che, però, potrebbe anche avere una vita breve se il Consiglio di Stato, alla luce del decreto legge, dovesse dichiarare cessata la materia del contendere visto che il Programma Operativo, come atto amministrativo non esiste più. Comunque sia, annunciamo sin da ora che queste norme saranno immediatamente impugnate davanti alla Corte Costituzionale.
Resta, poi, aperto anche il fronte della "lotta" politica. Con una nota inviata la scorsa notte al Presidente Napolitano lo abbiamo invitato a non firmare il decreto legge non solo per salvare il nostro ospedale, ma anche perchè quel provvedimento demolisce in un solo colpo i principi più importanti della Costituzione in tema di autonomie: sussidiarietà e leale collaborazione.
Se anche su questo decreto legge, qualora fosse approvato così come è, il governo dovesse porre la fiducia, è chiaro che i parlamentari abruzzesi che la votassero, assumerebbero di fronte all'intera regione una grave responsabilità.
Resta, per ora, l'invito al Governo a stralciare completamente questa parte dal decreto legge con l'invito ad abbandonare la via autoritativa e a rispettare i diritti dei cittadini.
sabato 11 giugno 2011
venerdì 10 giugno 2011
mercoledì 8 giugno 2011
sabato 4 giugno 2011
mercoledì 1 giugno 2011
lunedì 30 maggio 2011
lunedì 23 maggio 2011
Il mio intervento su "Il Centro"
Non c'è dubbio che la sentenza del TAR Abruzzo sul Programma Operativo firmato da Chiodi e Baraldi sia una doccia fredda per il governo regionale e per il governo nazionale.
Oggi il presidente della Giunta regionale si chiede e chiede a Roma quali siano i suoi poteri nonostante abbia avuto tutto il tempo per capire che quello che stava confezionando- su mandato di Tremonti - era un atto illegittimo.
Chiodi, commissario per la sanità, ha commesso l'errore fatale di dimenticare che Regione e Ministeri avevano già concordato nel 2007 come doveva essere ripianato il debito e ha trascurato il dato essenziale che quel piano (poi recepito nel 2008 dal Piano Sanitario Regionale) salvava i piccoli ospedali e, con essi, i conti della sanità. E' come dire che gli sprechi non erano causati da quelle strutture.
Il dato giuridico fondamentale da noi sempre sostenuto e oggi confortato dal pronunciamento del TAR è che il commissario, che è un organo amministrativo, non può violare una legge regionale (perchè il Piano Sanitario è una legge) e non può gravare le zone interne - magari già afflitte da altri problemi - del taglio della sanità ospedaliera.
Perchè questo Tremonti, Fazio, Massicci, Palumbo (questi ultimi tecnici del Ministero) Chiodi, Baraldi e Zavattaro non l'hanno capito?
Perchè, dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato di gennaio, non hanno rivisto la loro azione?
Erano veramente convinti che bisognasse andare avanti ad oltranza?
Non so rispondere. So solo che, sfogliando la mia personale rassegna stampa, trovo la dichiarazione di Chiodi che, nella campagna elettorale che poi ha portato alla sua elezione, si impegnava a riconvertire i piccoli ospedali e quelle di Venturoni che, reduce dalla triste personale vicenda degli arresti domiciliari, rivolgeva il suo primo pensiero al taglio di quelle strutture.
Evidentemente, nonostante il grido di allarme lanciato verso Roma (Chiodi chiede a Tremonti cosa fare e qual è la sua identità), c'è una impostazione politica diversa (legittima ma non condivisa) che oggi, dopo che il TAR ci ha dato ragione, nessuno appoggia più, neanche la parte che dovrebbe sostenere il presidente in una fase così delicata e neanche chi, dopo avere lucrato sulla inadeguatezza delpiano del 2008, oggi ne parla come l'unica vbera soluzione al problema sanità.
A questo punto mi faccio un'altra domanda. Possibile che nessuno dei tecnici che ha elaborato il Programma Operativo si sia mai reso conto del fatto che quel provvedimento era illegittimo? Il quesito non è privo di senso se pensiamo che quelle persone hanno lavorato, alla luce dei fatti, inutilmente e, soprattutto, hanno prodotto danni in alcuni casi irreparabili (pensiamo agli ospedali già disattivati: cosa succederà adesso?).
Altra domanda. Possibile che i cittadini per vedersi riconoscere un diritto fondamentale ed elementare si devono rivolgere alla Magistratura quando, invece, dovrebbe essere "la politica" a fare le scelte nell'interesse di tutti?
Concludo con un ultimo quesito e mi permetto di dare un suggerimento.
Che si fa ora? In molti invocano un nuovo Piano di Rientro e un nuovo Piano Sanitario Regionale. Io credo che vadano bene quelli che ci sono e che chi ha le responsabilità non deve fare altro che darvi piena attuazione. O dovremo riprendere la litania delle diffide e degli esposti in Procura?
Nè si può pensare che il Governo possa aggiustare anche questo problema con una sanatoria. Martedì Tremonti incontrerà i commissari delle 5 regioni in deficit convocati su richiasta di Chiodi dopo il "caso Guardiagrele". Magari potrebbe tirar fuori dal cilindro una sorta di condono decretando, ad esempio, che i commissari possono derogare ai Piani Sanitari Regionali o sospendere le leggi regionali.
Tutto ciò sarebbe - ma questo nessuno lo pensa - uno schiaffo a quelle centinaia di persone (soprattutto anziane), che, negli ultimi mesi, hanno trovato posto all'ospedale di Guardiagrele e che avrebbero dovuto cercare altrove assistenza senza la certezza di trovarla. Sarebbe un oltraggio a chi lavora, al limite del collasso, in quella struttura che, nonostante tutto, riesce ad offrire un servizio di qualità. E sarebbe l'ennesimo sgarbo alla Costituzione.
Per ora voglio godere, insieme a loro e ai guardiesi, di questa vittoria che ha riconsegnato ad una intera comunità la speranza nel futuro.
Oggi il presidente della Giunta regionale si chiede e chiede a Roma quali siano i suoi poteri nonostante abbia avuto tutto il tempo per capire che quello che stava confezionando- su mandato di Tremonti - era un atto illegittimo.
Chiodi, commissario per la sanità, ha commesso l'errore fatale di dimenticare che Regione e Ministeri avevano già concordato nel 2007 come doveva essere ripianato il debito e ha trascurato il dato essenziale che quel piano (poi recepito nel 2008 dal Piano Sanitario Regionale) salvava i piccoli ospedali e, con essi, i conti della sanità. E' come dire che gli sprechi non erano causati da quelle strutture.
Il dato giuridico fondamentale da noi sempre sostenuto e oggi confortato dal pronunciamento del TAR è che il commissario, che è un organo amministrativo, non può violare una legge regionale (perchè il Piano Sanitario è una legge) e non può gravare le zone interne - magari già afflitte da altri problemi - del taglio della sanità ospedaliera.
Perchè questo Tremonti, Fazio, Massicci, Palumbo (questi ultimi tecnici del Ministero) Chiodi, Baraldi e Zavattaro non l'hanno capito?
Perchè, dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato di gennaio, non hanno rivisto la loro azione?
Erano veramente convinti che bisognasse andare avanti ad oltranza?
Non so rispondere. So solo che, sfogliando la mia personale rassegna stampa, trovo la dichiarazione di Chiodi che, nella campagna elettorale che poi ha portato alla sua elezione, si impegnava a riconvertire i piccoli ospedali e quelle di Venturoni che, reduce dalla triste personale vicenda degli arresti domiciliari, rivolgeva il suo primo pensiero al taglio di quelle strutture.
Evidentemente, nonostante il grido di allarme lanciato verso Roma (Chiodi chiede a Tremonti cosa fare e qual è la sua identità), c'è una impostazione politica diversa (legittima ma non condivisa) che oggi, dopo che il TAR ci ha dato ragione, nessuno appoggia più, neanche la parte che dovrebbe sostenere il presidente in una fase così delicata e neanche chi, dopo avere lucrato sulla inadeguatezza delpiano del 2008, oggi ne parla come l'unica vbera soluzione al problema sanità.
A questo punto mi faccio un'altra domanda. Possibile che nessuno dei tecnici che ha elaborato il Programma Operativo si sia mai reso conto del fatto che quel provvedimento era illegittimo? Il quesito non è privo di senso se pensiamo che quelle persone hanno lavorato, alla luce dei fatti, inutilmente e, soprattutto, hanno prodotto danni in alcuni casi irreparabili (pensiamo agli ospedali già disattivati: cosa succederà adesso?).
Altra domanda. Possibile che i cittadini per vedersi riconoscere un diritto fondamentale ed elementare si devono rivolgere alla Magistratura quando, invece, dovrebbe essere "la politica" a fare le scelte nell'interesse di tutti?
Concludo con un ultimo quesito e mi permetto di dare un suggerimento.
Che si fa ora? In molti invocano un nuovo Piano di Rientro e un nuovo Piano Sanitario Regionale. Io credo che vadano bene quelli che ci sono e che chi ha le responsabilità non deve fare altro che darvi piena attuazione. O dovremo riprendere la litania delle diffide e degli esposti in Procura?
Nè si può pensare che il Governo possa aggiustare anche questo problema con una sanatoria. Martedì Tremonti incontrerà i commissari delle 5 regioni in deficit convocati su richiasta di Chiodi dopo il "caso Guardiagrele". Magari potrebbe tirar fuori dal cilindro una sorta di condono decretando, ad esempio, che i commissari possono derogare ai Piani Sanitari Regionali o sospendere le leggi regionali.
Tutto ciò sarebbe - ma questo nessuno lo pensa - uno schiaffo a quelle centinaia di persone (soprattutto anziane), che, negli ultimi mesi, hanno trovato posto all'ospedale di Guardiagrele e che avrebbero dovuto cercare altrove assistenza senza la certezza di trovarla. Sarebbe un oltraggio a chi lavora, al limite del collasso, in quella struttura che, nonostante tutto, riesce ad offrire un servizio di qualità. E sarebbe l'ennesimo sgarbo alla Costituzione.
Per ora voglio godere, insieme a loro e ai guardiesi, di questa vittoria che ha riconsegnato ad una intera comunità la speranza nel futuro.
venerdì 20 maggio 2011
mercoledì 18 maggio 2011
L'ospedale resta aperto. Il TAR ci ha dato ragione
Il TAR ha accolto uno dei nostri ricorsi.
Abbiamo avuto ragione su tutta la linea.
Una sentenza ben articolata che muove dalla spinta della decisione di gennaio del Consiglio di Stato.
Il TAR ha detto che il Programma Operativo non poteva contrastare con il Piano Sanitario approvato nel 2008 con una legge regionale.
Il Piano, quindi, è stato annullato nella parte che riguarda l'ospedale di Guardiagrele.
La politica del centrodestra che voleva affondare la sanità delle zone interne è finita sotto un treno, un treno del quale siamo stati la locomotiva sin dal primo momento.
Questa vittoria ci rende felici, felici di avere fatto il "bene comune" perchè l'ospedale resta aperto per tutta la comunità!
Abbiamo avuto ragione su tutta la linea.
Una sentenza ben articolata che muove dalla spinta della decisione di gennaio del Consiglio di Stato.
Il TAR ha detto che il Programma Operativo non poteva contrastare con il Piano Sanitario approvato nel 2008 con una legge regionale.
Il Piano, quindi, è stato annullato nella parte che riguarda l'ospedale di Guardiagrele.
La politica del centrodestra che voleva affondare la sanità delle zone interne è finita sotto un treno, un treno del quale siamo stati la locomotiva sin dal primo momento.
Questa vittoria ci rende felici, felici di avere fatto il "bene comune" perchè l'ospedale resta aperto per tutta la comunità!
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