venerdì 1 giugno 2012

Il prof. Ferro, cittadino onorario di Guardiagrele

Il conferimento della cittadinanza onoraria al prof. Ferro non va vissuto come un semplice (anche se certamente dovuto) omaggio a ciò che il Professore ha fatto. Per questo parla il suo curriculum e nulla va aggiunto. Se fosse così, del resto, staremmo qui solo per una circostanza formale e non per dare senso ai segni che compiamo.

Io vivo questa singolarissima circostanza come un motivo di impegno futuro per il Professore Ferro, per chi con lui ha collaborato, per chi lo ha seguito e per ciascuno di noi.

[In questa circostanza, poi, è come se si chiudesse un cerchio ideale che parte dalla storia più recente delle persone che negli ultimi anni sono diventate più guardiese grazie alla cittadinanza onoraria].

Essere cittadino vuol dire innanzitutto assumere obblighi verso la comunità; questo significato è ancor più carico di conseguenze se alla categoria della cittadinanza sostituiamo o affianchiamo quella della con- cittadinanza.

Se il Prof. Ferro oggi diventa cittadino onorario di Guardiagrele, al tempo stesso diventa con-cittadino di migliaia di altre persone che non solo risiedono in questa città, ma in essa lavorano, hanno investito per il proprio futuro.

E, se se è vero che ad ogni cittadino residente si chiede di rispondere a ciò che da questa condizione deriva, tanto più questo deve valere per chi questa con-cittadinanza la riceve in dono.

Certo, questa non è una trappola che abbiamo teso o, comunque, non è una trappola che abbiamo teso solo al protagonista di questa sessione straordinaria del consiglio comunale.

Quando, nel novembre scorso, ho ascoltato a Chieti le parole del Prof. Ferro in occasione del congresso internazionale, ma, soprattutto, ho visto la passione e la commozione con le quali ha pronunciato il nome della nostra città, mi sono chiesto se non fosse opportuno che anche lui potesse dirsi guardiese.

La cittadinanza, in effetti, non è un attributo esterno, ma è (dovrebbe essere) una condizione della persona che la costruisce e la fa agire in un determinato modo. Questo è il motivo per il quale la città “remunera” il Prof. Ferro con l’unica cosa che di più prezioso può dare: non un oggetto, non un riconoscimento effimero, ma la condizione per la quale – ripeto – il Prof. Ferro da oggi può dirsi (essendolo, nei fatti, già da tempo), un guardiese.

Due sono gli aspetti che, nel momento in cui ho pensato (e subito condiviso anche con il Prof. Ferro) l’idea di conferirgli la cittadinanza onoraria, mi sono venuti in mente: il fatto che il Prof. Ferro avesse portato il nome di Guardiagrele in prestigiosi consessi scientifici e la circostanza, non meno importante, che la presenza del SPDC a Guardiagrele ha fatto maturare una consapevolezza diversa delle relazioni umane.

Sul primo punto, mi limito a segnalare (soprattutto a chi guardiese non è né per residenza ne di fatto) che si può solo immaginare il senso di orgoglio che ogni guardiese prova al sentire il nome della sua città. Se, poi, questo avviene in una sede di elevato livello e da chi a quel livello conferisce prestigio, allora si può comprendere quanto questa motivazione sia pregnante.

E, si badi bene che non è qualcosa di effimero; è, anzi, qualcosa di altrettanto “denso” rispetto alla pure importante conseguenza (in termini di visibilità e risonanza che la città può avere), al pronunciare il nome della città e al segnalare che essa è sede del SPDC nel quale le teorie trovano applicazione e i volti anonimi assumono una identità, di generare negli ascoltatori l’interrogativo su come sia possibile che tutto questo si verifichi in un presidio di provincia. Senza dire, poi, della curiosità che sul nome della nostra città si concentra e che trova sfogo nell’approfondimento della sua conoscenza.

Quanto al secondo punto, richiamo quanto giustamente si dice nel documento che ho predisposto e condiviso con il signor Sindaco. Si afferma che all’inizio è stato difficile, ma si sa che i processi di trasformazione della persona e, ancor di più, della comunità, sono lunghi e originano, magari, da un trauma. Quel trauma Guardiagrele lo subì nel 1998, ma poi è stato elaborato, assorbito, portato a maturazione per far emergere quel che Guardiagrele è: una città accogliente e sensibile nell’anima; una città disposta a “spezzare” quell’anima per darla a chi non l’ha integra (ferita) sol che se ne dia l’occasione, l’opportunità.

Questa elaborazione è stata possibile grazie a tutto ciò che il Prof. Ferro ha rappresentato. Perché in lui si condensa un insieme fatto di condizioni oggettive (il luogo) e di persone (collaboratori ad ogni livello). Lavorare sulle relazioni tra le persone è diventato, anche al di fuori della clinica, più semplice. E’ stato possibile assumere si di sé (da parte di ciascuno) la diversità in maniera più semplice o, addirittura, naturale. L’approccio con la condizione della malattia mentale ha consentito di guardare alla diversità con una atteggiamento meno diffidente. Ha consentito di elaborare una identità più vera non solo dei singoli, ma della comunità (guardiese) intera. Ci troviamo di fronte ad un rapporto “generativo” continuo che anche grazie a questa significativa presenza, la città ha rinnovato e rinnova ogni giorno. E volete che ha rappresentato tutto questo non debba, anche nel nome, sentirsi parte di questa comunità.

Ma questo è un patrimonio troppo importante perché vada perduto ed è per questo che, tornando a quel che dicevo all’inizio, questa non è cerimonia di vuote formalità, ma momento nel quale ciascuno assume o ri-assume una responsabilità.

Lo ha chiarito in maniera trasparente proprio il prof. Ferro quando ha levato la voce contro i tentativi, ancora attualissimi, di disgregazione del nostro ospedale. Diciamolo con franchezza: se il SS. Immacolata – che è stato il grembo nel quale questo rapporto generativo è nato – rapporto nel quale la clinica e la comunità si sono reciprocamente nutrite l’una dell’altra consentendo alla prima di crescere e diventare quel che è e alla seconda di riscoprire l’anima, come prima ho detto) – ebbene se questo grembo viene neutralizzato, non avremo più un parto, ma un aborto.

Qui va detto in maniera chiara che l’impegno da assumere non è quello di tutelare un campanile, ma quello di garantire una sanità vicina alla gente, una sanità dal volto umano – con ciò parafrasando un’espressione del prof. Ferro ripresa dai suoi collaboratore e a me molto cara.

Questo è possibile, e lo dico al mondo accademico oggi rappresentato al massimo livello. La psichiatria di Guardiagrele ha dimostrato la possibilità di quel che a molti sembra impossibile e, cioè, che il dialogo con l’Università può essere condizione di arricchimento e crescita reciproca. Tutto questo è ancora possibile se consideriamo che il SS. Immacolata è sede di due cliniche universitarie. Chiedo al Rettore e chiedo al Preside di Facoltà, ma lo chiedo a tutti: lavoriamo insieme perché la sanità innanzitutto ci sia, possa fare qualità; dove è necessario e doveroso possa fare eccellenza, ma, in ogni caso, sia vicina alla gente. Non è facile, è chiaro, ma credo che sia necessario provarci.

Questi, a mio avviso, devono essere i frutti di un lavoro così importante. Giustamente nella relazione al congresso di Chieti (dove ciò che viviamo oggi ha avuto origine) si diceva che è stato il lavoro di squadra a produrre il frutto ed è stato l’insieme di queste condizioni a portare i risultati che diversamente non sarebbero germinati.

Ma non avrebbe nessun senso essere qui, se da qui non si partisse per progettare un futuro possibile.

Proprio a questo penso quando dico che da questo momento nascono ulteriori responsabilità: il lavoro fatto in questi anni in tanto può avere un senso in quando ci si impegna perché non vada perduto. Il Convegno che cito per la terza volta, infatti, si proponeva di inaugurare ciò che dai temi teorici e clinici propugnati dal Prof. Ferro, dovrà adesso evolvere e germinare.

[E così che si chiude il cerchio, il ciclo che negli anni ci ha portato ad allargare la nostra comunità con alcuni cittadini onorari: nel 2008 Doris Blumenkranz e Evelina Graubardt, internate a Guardiagrele nel 1941-1943 sono cittadine onorarie perchè da Guardiagrele hanno ricevuto e, con esse, si dimostra come i valori della solidarietà, del pluralismo e dell’incontro siano profondamente incarnati nella nostra storia; il prof., Ferro è cittadino onorario è cittadino onorario perché quei valori ha contribuito a rivitalizzare. E’ come dire che è cittadino onorario di Guardiagrele chi ha a che fare con questa materia].

Il conferimento della cittadinanza (con-cittadinanza) è, quindi, l’onore che si rende con gratitudine a chi ha consentito di (ri)maturare tutto questo; a chi con semplicità ha attirato le attenzioni di una comunità che si è fatta sempre più sensibile ai problemi della marginalità; a chi oggi gioisce (“mi ha acceso un sole”, mi ha detto quando le ho comunicato telefonicamente questa iniziativa) – è capace di gioire (ecco perché si parla di semplicità) – per un dono che compensa quel che si è dato; a chi non si è fatto scudo della scienza ed ha, invece, con disponibilità all’ascolto e all’incontro, saputo dialogare, consigliare, indirizzare; a chi consegna a tutti non un’idea, ma un fatto; a chi ha saputo costruire intorno a sé una squadra che oggi, insieme a tutta la comunità di Guardiagrele, ha ancora voglia di sperare – e qui rubo il finale della relazione al congresso di Chieti - che l’età del Ferro continui, in realtà, ad essere ancora l’età dell’oro.

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