lunedì 4 giugno 2012

Piccoli ospedali: un caso nazionale

Il Corriere della Sera di oggi ha dedicato un pezzo in Primo Piano (pagina 5) al tema dei piccoli ospedali.

Negli ultimi giorni ho avuto modo di confrontarmi più volte con la giornalista alla quale avevo segnalato, qualche settimana fa, che nessuno era andato alla radice del problema dei disservizi in sanità (era il periodo in cui la cronaca si concentrava sui Pronti Soccorso di Roma).

Sostenevo e sostengo che se i grandi ospedali sono ingolfati e non riescono a fare eccellenza è perchè si taglia indiscriminatamente e questi tagli hanno coinvolto i piccoli ospedali.

Ecco perchè, oltre che per altre ragioni giuridiche (le spiego dopo), i giudici amministrativi hanno bocciato le scelte dei commissari nelle varie regioni in piano di rientro.

Cinque sono le regioni nelle quali il Governo ha nominato i presidenti quali commissari per l’attuazione del piano di rientro dal debito sanitario (Abruzzo, Molise, Lazio, Campania e Calabria).

Nel corso degli anni 2010 e 2011 i Commissari hanno adottato i c.d. “Programmi Operativi” con i quali, secondo le previsioni della l. 191/2009, avrebbero dovuto garantire la prosecuzione dei Piani di rientro (firmati tra regioni e ministeri nell’anno 2007).

Con questi Programmi, però, i Commissari hanno drasticamente tagliato i posti letto e, quindi, hanno disposto la chiusura di numerosi ospedali, dai 24 della regione Lazio ai 5 della Regione Abruzzo. La necessità di tagli ai posti letto (pure “giustificata” dal patto per la salute siglato nel dicembre 2008) si è scontrata con la assoluta carenza di misure alternative o complementari. Ne sono derivate una pesante riduzione dell’assistenza sanitaria e un ingolfamento delle strutture rimaste aperte.

Va detto, però, che non tutti si sono adeguati alle decisioni dei Commissari. Infatti, Comitati e Amministrazioni comunali hanno impugnato questi atti sollevando numerose questioni che vanno ben al di là della pur legittima pretesa di difendere il diritto alla salute e all’assistenza delle comunità rappresentate, spesso coincidenti con le zone più interne delle regioni interessate e, quindi, messe gravemente in crisi dalle riduzioni dei servizi.

Va detto che i Programmi operativi sostengono la necessità – cui pure la stampa più avveduta fa riferimento – di investire sulla c.d. sanità del territorio attraverso il potenziamento dei distretti e delle competenze e funzioni dei medici di famiglia, ad esempio (cfr. CorriereSalute del 4.3.2012).

Tuttavia in tutte le regioni interessate il taglio di posti letto ospedalieri non è stato preceduto (perché così doveva essere per logica e per espressa dichiarata volontà dei commissari) dai necessari investimenti e ciò ha evidentemente scatenato l’unica reazione possibile, quella legale.

I ricorsi promossi si fondano essenzialmente su questi motivi:

1- i Commissari sono stati nominati per dare esecuzione ai piani di rientro contrattati nell’anno 2007 tra le regioni e il Governo; in nessuno dei piani di rientro delle regioni oggi commissariate si prevedeva la chiusura di presidi ospedalieri, ma, al massimo, la riduzione di posti letto. Nel momento in cui i Commissari adottano decisioni che configgono con il contenuto dei piani di rientro che essi sono tenuti ad attuare, è chiaro che vanno al di là del mandato ricevuto;

2- gli atti adottati dai Commissari sono atti di carattere amministrativo con la chiara conseguenza che essi non possono stabilire modifiche, sospensioni, abrogazioni o integrazioni di norme di legge regionale; in effetti, l’organizzazione del servizio sanitario regionale è disposta con legge regionale e, quindi, nessun atto amministrativo adottato dal Commissario può modificarne il contenuto perché è come se un decreto ministeriale cambiasse il contenuto della legge che deve applicare (questo principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale);

3- i Commissari, nel momento in cui ridisegnano la rete ospedaliera regionale (disponendo la chiusura di intere strutture), esercitano un potere che non gli è attribuito né dalla legge né dal Governo che li ha nominati; la potestà di regolamentare il servizio sanitario regionale e, in modo particolare, quella di stabilire come organizzare la rete ospedaliera, appartiene al Consiglio Regionale che deve esercitarla con propria legge secondo le forme stabilite dalla l. 833/1978 e dal d.lgs 502/1992 (anche questo principio è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale);

4- la decisione di chiudere presidi ospedalieri si fonda su istruttorie spesso errate poiché si pongono a fondamento delle decisioni dati non rispondenti al vero; ad esempio in alcuni casi non si tiene affatto in considerazione la oggettiva realtà geomorfologia, demografica o epidemiologica nella quale un ospedale (spesso parliamo di presidi ubicati in zone interne) opera; insomma, gli atti commissariali dispongono la chiusura di presidi senza tener conto del fatto che, in mancanza di quei posti letto, la popolazione non trova in nessun’altra struttura una risposta ai propri bisogni di salute.

Questi argomenti sono stati recepiti dalla giurisprudenza amministrativa che in diversi casi ha condiviso le argomentazioni formulate nei ricorsi accogliendoli e mettendo, di fatto, in crisi i progetti degli Uffici Commissariali. La reazione del Governo (del quale i Commissari sono rappresentanti nelle rispettive regioni)non è mancata, come si vedrà per il caso (unico in Italia) del Programma Operativo della regione Abruzzo(prima bocciato dal TAR e, poi, resuscitato con un decreto legge).

Nessun commento:

Posta un commento

Che ne pensate?