domenica 25 aprile 2010

25 aprile: ora e sempre Resistenza!

Cari amici,
mi accingo a condividere con voi alcune brevi considerazioni nella cornice della solennità civile della festa della liberazione.

Trovarsi qui a fare memoria e fare festa al tempo stesso è la risposta più coerente che noi dobbiamo a noi stessi, figli del sacrificio di quegli anni, di quei mesi; figli di un sacrificio che ha bagnato di sangue anche le pietre delle nostre case.

Fare memoria, come abbiamo detto in tante occasioni, vuol dire riattualizzare ciò che celebriamo; è, quindi, come se oggi si ripetesse e rinnovasse ciò che accadde quando i partigiani sfilarono nella Milano appena liberata, è come se oggi stessimo eseguendo l’ordine di insurrezione generale del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, è come se oggi seguissimo i gruppi di partigiani entrare nelle città, è come se fossimo in compagnia dei patrioti della Maiella.

E’ come se oggi, come il 9 giugno del 1944 con quei patrioti entrassimo nella Guardiagrele liberata o, ancora, se fosse oggi la notte tra il 4 e il 5 dicembre 1944 che li vide conquistare Brisighella, o il 21 aprile dell’anno dopo Bologna, il 1° maggio Asiago.

Quali città e quale Nazione avevano in mente i partigiani, i protagonisti della guerra di liberazione, gli attori della Resistenza, i patrioti della Maiella?

Quale idea di Italia avevano in testa persone poco più che adolescenti (ma certamente mature e compiute) che, come Domenico Troilo, appena 22enne, volevano certamente vivere in pace ma avevano ben capito chi era il nemico, contro chi dovevano combattere, quale futuro poteva attenderli dopo averlo definitivamente sconfitto?

Vado subito al dunque perché è necessario, oggi come mai prima, capire il senso di questa festa. E vado al dunque perché ciò che temo di più è il ritornello che inevitabilmente si ripropone, da qualche anno, ogni 25 aprile (come anche il 27 gennaio e il 10 febbraio).

I partigiani, i patrioti della Maiella, avevano scelto una strada difficile; una strada che, anche attraverso la morte, avrebbe restituito umanità ad una storia che era divenuta disumana.

Avevano capito che la libertà era il bene da acquistare ad ogni costo, senza cedere a nessun compromesso.

Lo aveva ben chiaro in mente, ad esempio, Sandro Pertini, come disse il 9 luglio 1978 nell’insediarsi alla Presidenza della Repubblica. Se qualcuno gli avesse offerto, lui socialista da sempre, la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, lui l’avrebbe rifiutata perché la libertà , per la quale aveva, da partigiano, lottato e sofferto la prigionia, non può essere barattata.

E la libertà non poteva che essere quella per la quale la Resistenza era nata e per la quale, a prezzo della vita, quei giovani erano disposti a combattere.

Ce lo dice in maniera chiara Piero Calamandrei, anche lui padre della Repubblica, quando, esortando i giovani, dice loro che se vogliono andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, devono andare nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. “Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità – dice Calamandrei - , andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.

Quella è la fonte, quella è la radice, quello è il riferimento certo al quale guardare senza timori o tentennamenti e, soprattutto, senza rischi di cambiare rotta o con la presunzione di leggere i fatti con una lente che vuole, in nome di una pacificazione nazionale, cancellare la storia.

Il fatto di sottolineare che è dal movimento collettivo e spontaneo della Resistenza che nasce la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo non significa dire che il 25 aprile è una festa parziale perché non è di tutti.

Il fatto di invocare un movimento di riunificazione ideale magari anche azzardando la proposta di dare a questo giorno un nome diverso non tiene conto del fatto che la Resistenza, i Partigiani e, tra essi i Patrioti della Maiella, non lottarono per se stessi ma per tutti. Il riscatto della nazione dalla dittatura fascista era un riscatto che essi volevano e ottennero per tutti. La libertà che vagheggiavano e che, per dirla ancora con Pertini, era consustanziale alla giustizia sociale, era un bene contro il quale si combatteva da venti anni e si continuò a combattere per due anni, fino alla liberazione. Ma era una libertà per tutti. I diritti che quei patrioti volevano erano tutti i diritti per tutti altrimenti non sarebbero mai stati.

Se si parla di una festa di parte non è perché fu il risultato di una lotta che non coinvolse tutti. E’ perché di quella vittoria si sentirono orfani quelli che fecero una scelta diversa, quella che insisteva ancora in un errore che durava da troppo tempo.

E quella scelta diversa, al di là della pietà per i defunti che va a tutti tributata, fu una preferenza sbagliata allora e che va ritenuta ancora oggi sbagliata perché contro l’interesse della Nazione.

Questo è il motivo per il quale la festa della liberazione non va coinvolta in pericolosi tentativi di improbabili revisionismi che tendono a porre sullo stesso piano le varie opzioni che dopo l’armistizio si posero davanti agli italiani. Ce lo ha ricordato con insistenza Carlo Azeglio Ciampi nei suoi ripetuti appelli del recente passato.

Noi, tutti siamo dalla parte dei patrioti che capirono che per vivere da uomini bisognava essere anche disposti a morire da uomini. E abbiamo la certezza che quella scelta – lo ribadisco – non aveva una parte da difendere, ma un bene collettivo, il bene della Nazione che risorgeva.

Quei patrioti avevano fatto quello che dovevano fare perché avevano in mente qualcosa che andava oltre il loro personale orizzonte o quello limitato di una parte; questo li faceva essere “partigiani senza partito e soldati senza stellette”.

Ecco perché – lo ribadisco – non si può affermare con disinvoltura che, poiché in molti morirono, pari sono il sangue dei vinti e il sangue dei vincitori o - il che certamente appare cosa peggiore – partigiani e nazi-fascisti erano la stessa cosa.

A noi interessa sottolineare che tra la Resistenza e le strutture del ventennio c’è una differenza. Parliamo di categorie che erano e sono diverse, antitetiche e, quindi, non assolutamente parificabili in un tutto indistinto in nome di una pacificazione nazionale o di una improbabile e improponibile “festa della libertà” che – questa sì – evoca scenari affatto ecumenici e universali.

Lo diceva bene don Lorenzo Milani, nella sua lettera ai cappellani militari, quando invitava a rispettare la sofferenza e la morte ma aggiungeva: “Davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima”.

La memoria pacificata
, quindi, è, innanzitutto una memoria che parte dalla verità, una verità che va insistentemente cercata e non opportunisticamente rivista, una verità che disegna i tratti reali dell’edificio che oggi ci ospita e che fonda sulla lettera della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza e dall’antifascismo.

Da un impegno, cioè, che deve vederci vigili e attenti, pronti a rispondere sempre sì quando la coscienza ci chiede se sia necessario incontrarsi – come oggi – per fare festa, per celebrare la memoria della liberazione.

Un impegno instancabile, come quello di Domenico Trailo o di Francesco Ciccuccio Ranieri che ha letteralmente custodito questa memoria facendosi carico, letteralmente adottando il monumento alla Brigata Maiella.

Un impegno contro le strutture di un totalitarismo diverso ma non meno pericoloso di quello abbattuto 65 anni fa; un impegno per proteggere le strutture di quella giustizia sociale che – lo ricordavamo – è consustanziale alla libertà.

Un impegno che deve e dovrà farci capire dove e come la libertà ancora oggi è vilipesa ogni volta che i poteri dello stato sono aggrediti, i diritti sociali messi in discussione, il diritto di raccontare il marcio che ci circonda considerato uno spot negativo per l’Italia, la fuga dalle responsabilità attraverso la scorciatoia di leggi illegittime.

Contro queste aggressioni anche qui, anche noi vogliamo costruire il nostro monumento.

Anche qui, anche noi vogliamo essere ciascuno al proprio posto, proprio dove e, soprattutto, come ciascuno deve esserci, vivi e collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre resistenza (Piero Calamandrei).

1 commento:

  1. http://www.youtube.com/watch?v=bxhKkw0EZ6s&feature=PlayList&p=E4BCF41D68A17FE0&playnext_from=PL&index=0&playnext=1

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